LUCREZIA, una storia di cronaca triste e quasi vera.

Nel cortile.
“Ah, ah, ah, ma guardala! Che razza di giacca ha indossato oggi?”
“Sì, con quel cappotto rosa, sembra proprio una scrofa!”
“Ehi Marco, vieni qui!”
“Che cosa c’è?”
“Lucrezia.”
“Uh, mamma! In questi giorni è diventata ancora più grassa. Ah, ah, ah.”
“Ciao, bella cicciona, cosa hai divorato di così buono?”
Lucrezia avanza appesantita dalla sua ciccia, ma, ancora di più, da un mesto stato d’animo. Si dirige verso l’entrata della scuola senza sollevare lo sguardo da terra. E se non fosse stato per la sua stazza, così, pallida, in quel momento avrebbe potuto assomigliare a un fantasma.
Marco le si avvicina, sorride tra sé e sé, maligno. Quatto quatto, da dietro, le tira una forte manata che la colpisce in mezzo alla schiena, Voltandosi poi verso i compagni, grida:”Voi non sentite una puzza schifosa? Si, qui c’è un gran fetore di maiale!”
Tutti ridono. Tutti, tranne lei.
Ogni giorno, da due anni, per Lucrezia è la stessa storia: quegli antipatici riescono sempre a trovare un qualsiasi prestesto per deriderla.

Anche quella mattina le lezioni cominciano. Nemmeno il tempo di estrarre l’astuccio subito dopo l’appello, ed è già impegnata a scrollarsi di dosso delle palline di carta sparate a raffica, a mo’ di cerbottana, dall’involucro vuoto di una biro.
Quelle maledette umide bisciette la colpiscono ovunque: si intrufolano fin dentro ai suoi vestiti e si incastrano nei suoi capelli lunghi e ricci.
Gli insegnanti, come al solito, paiono non accorgersi di nulla, forse perché la sagoma un po’abbondante della ragazzina riesce a occultare la visuale dei banchi posteriori. Quasi tutti i compagni ridacchiano divertiti, la prendono in giro, ma a bassa voce. Continuano imperterriti a scagliarle addosso gettate di pallottole di carta che sembrano diventare sempre più grosse e pesanti.
“ … Espulso dalla città l’ultimo re etrusco e instaurata una repubblica oligarchica nel 509 a.C., per Roma ebbe inizio un periodo contraddistinto dalle lotte interne tra patrizi e plebei e da continue guerre contro le popolazioni italiche: Etruschi, Latini, Volsci, Equi… Lucrezia! Ti vedo distratta come al solito! Li vogliamo lasciar stare quei capelli?“
Per Lucrezia la vita scolastica è difficile. Non ha mai trovato il coraggio di esternare i suoi problemi e il suo disagio, e questo anche in famiglia. Anzi: a dir la verità, ha preferito tacerli del tutto. D’altro canto gli insegnanti tolleravano anche quelle poche battute infelici che, per sbaglio, riuscivano a cogliere ogni tanto e che erano sempre rivolte a lei. Lucrezia si era fatta ormai l’idea che si preferisse far finta di niente. Forse era giusto così: evitando di dar peso alle offese, può darsi che i suoi compagni, non ricevendo alcuna attenzione, un giorno o l’altro si sarebbero stancati di prendersi gioco di lei.
Lucrezia è molto brava a fingersi forte. Mai che avesse dimostrato un disagio, mai che sul suo volto fosse trasparita una qualsiasi esternazione di sconforto, mai che avesse dato a vedere un piccolo segnale di fragilità.
Nulla avrebbe potuto far presagire ciò che, da un po’, le passava per la mente.
Lucrezia è sempre introversa e silenziosa: questo, sì. A scuola è considerata fin troppo diligente.
È anche la più alta della classe, e la più robusta. A ben guardare, non è nemmeno così brutta: i suoi occhi chiari sono grossi come noci.
Durante l’intervallo Lucrezia consuma uno spuntino da sola, seduta composta al banco. Tutti i compagni si sono alzati e si sono riuniti in vari gruppetti a seconda degli interessi in comune.
Alcune ragazze osservano alcuni disegni fatti sui diari, altre discutono della partita di pallavolo che si è svolta domenica. Gli appassionati di calcio si scambiano le figurine, e, per passatempo, il solito quartetto di bulli poco lontano schernisce ancora Lucrezia.
E lei, fingendo di non udirli, continua imperterrita a sgranocchiare una mela tagliata a pezzetti che è riposta in un contenitore per alimenti in plastica. Seguita a tenere gli occhi incollati al fondo di quella vaschetta pensando a quanto avrebbe desiderato esser più magra, magari più bella, e anche più brillante. Odia quel suo modo di essere goffa, impacciata, insicura. Avrebbe voluto essere come Veronica, la sua vicina di banco, sempre sicura di sé, circondata da tante amicizie e ormai troppo abituata a ricevere sorrisi da tutti. E, per finire, avrebbe desiderato essere corteggiata dalla maggior parte dei maschietti della sua scuola.
Intanto, qualche pallina di carta fradicia e molliccia le cade con un piccolo tonfo dai capelli finendo nel contenitore con la mela. Lucrezia, timorosa che qualcuno possa schernirla anche per questo, non si prende nemmeno la briga di toglierla. Con lo sguardo fisso nel contenitore prosegue meccanica ad imboccarsi.
“Sono nata brutta, sono antipatica, sono stata sfortunata. Questa scuola la odio, la odio!!!”, pensa, mentre suona la campanella che segna il termine dell’intervallo.
Seguono altre due ore di supplizio. Ogni nuova giornata è per lei un calvario .
È chiamata a sostenere l’interrogazione di geografia. Suo malgrado, mentre si solleva dal banco per raggiungere l’insegnante alla cattedra, fa cadere all’indietro la sedia. Tutti ridono di gusto. Lucrezia se ne vergogna molto. Se solo fosse stata più magra, e magari meno goffa, tutto questo non sarebbe mai accaduto.
Mentre raggiunge la professoressa viene incoraggiata con un: “Vai, brutta cicciona!”, che viene sussurrato da Marco, ben attento a non farsi riprendere. Mentre Lucrezia muove i suoi passi incerti verso l’insegnante, puo’sentire come le sue cosce sfreghino tra loro a causa dell’ingombrante tessuto adiposo in eccesso.
Dopo aver esposto alla meglio ogni concetto e dopo aver meritato un ottimo voto, per fortuna, giunge il termine delle lezioni.

La casa di Lucrezia non è molto distante dalla scuola, tuttavia, alla mattina, viene accompagnata dal padre in auto. Nel pomeriggio invece, vi fa ritorno a piedi. Per percorrere quel tratto di strada le sarebbero necessari cinque minuti, ma, per paura di dover incontrare i bulli della scuola, cerca di lasciare l’aula sempre per ultima. Temporeggia il più possibile sistemando il suo materiale con un eccesso di calma e deponendolo con una calcolata lentezza nello zaino. Poi, a passi corti, raggiunge l’atrio, e, solo quando è certa che tutti i suoi compagni siano già lontani, imbocca d’abitudine una strada secondaria, poco trafficata, allungando il percorso.
Mezz’ora dopo riesce a varcare finalmente la soglia del suo appartamento. E così ogni giorno, anche quando piove, al caldo come al freddo.

Vi giunge affaticata a causa di tre piani di scale. La palazzina è priva di ascensore. La cartella è pesante, ma ancora di più, lo è tutta la sua esistenza. A parte i suoi genitori, ai quali peraltro vuole un mondo di bene, proprio nessuno si interessa a lei.
Si toglie le scarpe, si defila in bagno. Torna nel salone. Slaccia lo zaino e estrae il diario. Ha l’abitudine di verificare i compiti da svolgere dopo pranzo. Mentre sorseggia un bicchiere d’acqua il diario si apre per caso, e, proprio sulla pagina del giorno, nota una scritta in penna nera e tantocalcata da bucare il foglio: “SCROFA SECCHIONA!”.
Vuota d’un fiato il bicchiere, ripone il diario nella cartella. Imbocca lo stretto corridoio. Carezza il gatto, entra nella sua stanza: è buia, è proprio come l’ha lasciata quella mattina, il letto è ancora sfatto. Spalanca le persiane.
Osserva la fotografia che è appoggiata sulla mensola con i libri. Lei, da piccola, in una posa buffa e per mano alla mamma. Erano al mare, in vacanza: uno scatto ben riuscito di papà,
Le sembrava strano, eppure, a sette anni, non era per niente obesa. E non era neanche brutta. Tuttavia possedeva già quella chioma esagerata di capelli mossi; ma era felice.
Viene travolta da una remota spensieratezza mista alla malinconia. Ricorda il castello di sabbia costruito quella stessa mattina insieme ad altri bambini. Crollò ben presto, non appena finito, per colpa di un’onda che giunse a riva inaspettata, forte. Nessuno, tuttavia, ne fu dispiaciuto, anzi: avevano tutti riso, e anche di gusto.
Lucrezia si sorprende nel percepire insieme a quei ricordi, tra le mura della sua camera, un misterioso e acre profumo di salsedine. Ah, quelle vacanze furono meravigliose!

Sua madre, come sempre, sarebbe rincasata più tardi e le avrebbe chiesto anche quel giorno: ”Tesoro, come è andata oggi?” E senza nessuna esitazione, Lucrezia le avrebbe risposto: “bene, sai, ho preso un bel voto in geografia!”
L’avrebbe detto nel miglior modo, sfoggiando un sorriso forzato e con il viso un po’ contratto.
Sua madre non si sarebbe accorta di nulla.
I suoi genitori avrebbero sofferto tanto nel saperla così infelice. Voleva solo evitare loro l’ennesima delusione.
Con questi brutti pensieri in testa, Lucrezia sale in piedi sulla scrivania. Apre la finestra, si butta giù.
Ora e’ libera, ora e’ bella, ora e’ leggera.
No. No! Niente affatto. Si rende conto subito di aver sbagliato.
Ma quell’azione non appartiene a un film, non è una scena che si può rifare. Sta per impattare al suolo e riesce solo a gridare: “Aiutooo!”
È tardi.

Avrebbe potuto dimagrire, un giorno avrebbe imparato ad amarsi e ad amare. E l’avrebbero rispettata, sarebbe risultata simpatica. Avrebbe avuto tanti amici. Forse avrebbe abitato al mare, o, almeno, l’avrebbe rivisto ancora.
Ha proprio sbagliato.

Addio, Lucrezia.

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

29 pensieri riguardo “LUCREZIA, una storia di cronaca triste e quasi vera.”

  1. Effettivamente, insiste un errore di fondo pieno di tanto.
    Lucrezia ha sbagliato e magari non si discute. Siamo sicuri, dunque, che lucrezia abbia colto appieno la verità, il fondo, la pienezza dell’errore? E’ stata indotta direttamente o indirettamente a commettere un’azione che, l’uomo nella fenomenologia suicidaria, al 98% dei casi tende ad estremizzare per … farsi salvare.
    No, vedrai, questo non mi capiterà mai. E se mi lancio dalla finestra – in fin dei conti sono al primo piano, al massimo mi rompo una gamba“. Poi finisce come finisce.
    Abbiamo voluto usare, a bella posta, l’azzardo dell’efficacia del gesto.
    Non volemmo, con questo, sminuire affatto ia disperazione della ragazzina ma, di converso, sottolinearla. Da qualsiasi parte la si osservi, trattiamo di una storia disperata.
    Una diversità, paventata, rispetto al mondi, i copagni, la dieta, la mamma, la sorella e la voglia di veder realizzati i propri sogni.

    Sì, quei sogni che si vedono, o si leggono intorno.
    Ragazze bellissime con ragazzi bellissimi.

    Un Grande Fratello qua e un “Amici” di la.
    Facile no? Chissà, magari una registrazione su Youtube, una chiacchierata in chat, oppure, meglio: due risate in Whatsapp, ma giusto per ridere, per dimostrare che si è superiori. Che le difficoltà del quotidiano non ci toccano.
    Che si è adulte, emancipate, anche sessualmente.
    Che il mondo ci appartiene e che appartiene ai furbi; a quelli con più seguito.
    Un flashmob di qua, una spancata di alcol di là e sei, subito, tra le cronache degli “amici”. Quegli amici pronti ad osannarti appena rubi loro l’attenzione con l’eclatanza del gesto, la bestemmia o l’imprecazione.
    Quegli amici che ti saggiano e assaggiano. Che ti mettono alla prova: uno sballo, giusto per provare, tanto a me non succede e smetto quando voglio.
    Ma sì, una volta nella vita, non come quei sfigati dei genitori che si spaccano la schiena e che stanno sempre in casa a rimuginare.
    Masì, due risate … e poi?
    Poi c’é il selfie, il concerto (ma sì, saltiamo i recinti, è più emozionante).

    Poi c’é …
    Poi rimane il nulla, le risate e i sfottò di quegli amici che un attimo prima ridevano plagiandoti.
    Poi … c’é sempre un po’ in più.
    Ecco: quel “poi” in più che, malgrado le ripetute spiegazioni, continuano ad esserci.
    Poi … diventa costume e la moda del momento … sfottere la ragazzetta che faceva la gran dama e che, magari, si è stancata di quel gioco delle parti.
    Poi ci sono i singhiozzi e l’emarginazione …
    Poi ci sono gli scherzi: quelli buoni e quelli cattivi.
    Cristo se fanno male quelli cattivi. Da non dormirci la notte.
    Un inferno.
    Poi ci sono le spiegazioni, ma arrivano le prime sberle.
    L’isolamento.
    La posta per quando arrivi a scuola.
    Il ragazzo che se ne va, vergognandosi; le minacce e i ricatti …
    I pomeriggi i casa, come Papà e Mamma e … quel cellulare che non squilla più, non un sms, non un selfie, neanche un Whatsapp.

    Nulla, il nulla rivestito di scherno con l’unica colpa di esser tornata … normale.
    E le lacrime.
    Lacrime per gli altri, il ragazzo, l’amore, il cinema.
    Lacrime per papà e mamma (te lo dicevo che non dovevi! Visto? Ti hanno abbandonata. ma la colpa è tua che non ci hai ascoltato. Adesso, però la pagherai. L’importante che tu ci dica tutto …) quando quel tutto, dopo, si rivela un coltello a doppio filo.

    Poi lo sballo.
    Quasi una bottiglia di Vodka in un’oretta.
    Lacrime e lacrime.
    Poi la tristezza e la …. finestra.
    Poi … il vuoto!

    ____
    In ricordo di Cinzia C., Rosignano Marittimo, LI – 7 Aprile 2013 – ore 17.30.
    Morta sul colpo.
    Gli inquirenti trovarono il registratore digitale ancora in funzione….
    L’ultima pra è documentata.
    ____

    Il male, del bene, è la solitudine. Una solitudine che ti devasta.
    Una solitudine che uccide.
    Sola la ragazzina, ma soli anche i genitori che vivono da soli e non come una coppia.
    La spersonalizzazione e “i modelli” hanno ucciso l’individuo in quanto tale.
    Intanto, però, si muore …

    Grazie mia signora per la bella storia.
    Una storia che fa riflettere per crudezza e portata.
    Abbiate le nostre cordialità

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    1. Si. Lei e’ stato piu’ esaustivo considerando l’enturage. Io mi ero fermata ad un solo aspetto.
      Diciamo che la colpa l’ho voluta dare solo all’istituzione scolastica e ai compagni quando avrei potuto considerare, in quanto dodicenne, altri aspetti e allargare la sfera dei suoi insuccessi anche denunciando le disillusioni di una ragazzina facili al giorno d’oggi per aspettative e amplificate dal largo uso e consumo online che ci incanta, ci ammalia e ci tradisce in quanto una volta spento il pc, si rimane soli.
      Se occorre aiuto si rimane soli. Grazie Milord.

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  2. Io con il carattere che mi ritrovo, fossi stata un’amica dei genitori, avrei reagito come Serena, la protagonista del bellissimo libro di Fabio Genovesi. Il racconto è triste e aderente alla realtà di oggi, ma è anche splendido e mi ha commossa profondamente. Da top ten!

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  3. L’adolescenza è il periodo più difficile della vita, il momento in cui altri, oltre mamma e papà, entrano nella tua esistenza, Possono arricchirla, renderla lieta o distruggerla. E sta all’adolescente trovare la forza di resistere, parlando. Ma l’adolescente non parla, nè coi genitori nè con gli insegnanti. L’istituzione scolastica ha la colpa di essere un centro di aggregazione. Centro che potrebbe essere anche una palestra, una piazza, un lido, un social network. Ai familiari e agli insegnanti, però, si dà la colpa di non essersi accorti. Non è facile, Nadia, non lo è per nulla. Dainsegnante te lo assicuro. Gli adolescenti, ma anche i bambini dai 9 in su, sono bravissimi a celarsi e…a colpire. Sono certa che moltissimi genitori e altrettanto moltissimi docenti abbiano salvato ragazzini dall’annientamento dei bulli di turno e ci sono riusciti perchè qualcuno, qualcosa ha permesso loro di capire. Nessun genitore, nessun insegnante, nessun amico sta senza far nulla nel momento che scatta il campanello di allarme. Ma quel campanello in qualche modo deve iniziare a suonare.
    Sin dalla prima elementare ho sempre chiesto ai miei alunni e ai genitori di segnalarmi anche le situazioni di sofferenza più piccole che a me potevano sfuggire nel grande gruppo. Nelle mie classi c’è sempre stato, ad esempio, un assoluto divieto: creare club di qualsiasi natura, dal calcio alla Barbie e c’è sempre stato un assoluto ordine: cambiare compagno di banco ogni mese, per non creare forti alleanze e permettere a tutti di conoscersi e apprezzarsi.
    Mi fermo, anche se avrei tanto da dire. Occhi aperti per i genitori e gli insegnanti, quindi, e capacità di colloquio, in casa soprattutto e poi anche nei centri aggreganti come la scuola.

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    1. Il disagio scolastico è un fenomeno complesso legato sì alla scuola, come luogo di insorgenza e di mantenimento, ma anche a variabili personali e sociali, come le caratteristiche psicologiche e caratteriali da una parte e il contesto familiare/culturale e dall’altra.
      Viene ad essere determinato dall’interazione di più fattori sia individuali, sia ambientali e si esprime in una grande varietà di situazioni problematiche che espongono il giovane al rischio di insuccesso in famiglia e di disaffezione alla scuola.
      Questi problemi, nella scuola e che si riversano nei rapporti di tipo amicale, presentano diversi livelli di gravità e spesso non sono la conseguenza di una specifica causa, ma sono dovute al concorso di molti fattori che riguardano sia l’adolescente, sia il contesto in cui egli viene a trovarsi (ambiente socioculturale, clima familiare, qualità dell’istituzione scolastica e degli insegnanti soprattutto).
      Ne convenite mia signora?
      In ultimo, ma non per ultimo, concordammo su una asserzione: i bambini sono fetenti!
      Immaturi, sicuramente, ma fetenti.
      Le peggiori cattiverie le vedemmo partorite da quelle piccole pesti.
      Detto ciò, attirandoci il pubblico ludibrio, lasciammo lady Marirò, le nostre cordialità più vivissime.
      Saluti cortesi, generosi e affabili, alla padrona di casa, lady Nadia

      The Milorder

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      1. Certo, Milord, ne convengo: mai pensato che la scuola sia scevra di colpe, ma mai pensato nemmeno che sia l’unica o la prima agenzia della colpa.
        Che i bambini sappiano essere perfidi e fetenti può, in certe circostanze, essere innegabile. Ma non mi sento di addossare la colpa ai bambini, piuttosto a noi adulti.
        Ho appena terminato di scrivere un ulteriore commento (in attesa di approvazione) in un altro blog, da TADS, dove si sta parlando di educazione e ineducazione dei bambini e ne incollo qui uno stralcio:

        ,,,Siamo arrivati, caro Tads, a limiti pericolosi. I bambini in fondo non ne hanno colpa, siamo noi adulti che li rendiamo così perchè gli permettiamo di andare a briglia sciolta e gli offriamo continui modelli di negatività. E loro li captano a colpo e ci imitano. In tutto. Siamo schizzati, distratti, interessati al nostro ego, sfrontati, irrispettosi, pronti a calpestare la qualsiasi per la nostra affermazione, a scagliarci contro chiunque e a non sapere più cosa significa rinuncia: i nostri figli pure. Naturalmente è un discorso generale, le eccezioni esistono. A questo aggiungiamo pure la solitudine dei bambini, compensata da tv- web, con tutto ciò che gli arriva addosso di incontrollato senza la mediazione dell’adulto (che non ha tempo per mediare…), lo sfascio delle famiglie e, di rimando, la rivalsa sui figli con richieste di prestazioni stressanti(vedi impegni pomeridiani per diventare necessariamente geni in qualcosa) e anche la frustrazione degli insegnanti, sempre più demotivati, sempre più soli, sempre più maltrattati (compresi le alzate di mano e gli spintoni dei genitori focosi, come accaduto in recenti fatti di cronaca).

        I bambini presto diventeranno adolescenti, poi giovani uomini e donne, e si porteranno dietro anche insicurezze, stress, debolezze e quant’altro vogliamo aggiungere. Il percorso di vita, inteso anche come incontri positivi e fortunati con le persone giuste al momento giusto, o tutto al contrario, docenti compresi, farà il resto.

        Cordialità,
        Marirò

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      2. Mia signora lady Marirò, leggemmo con ampissima attenzione quanto scriveste e dunque, volendo ben delimitare l’argomento definito sia da voi, sia da noi, sia da tutti i bravi lettori e lettrici, ci permettemmo l’appostazione di qualche paletto:
        Iniziamo, dunque, dai pargoletti.
        (Ci per mettemmo un nostro umilissimo parere dove, poi, analizzare con più calma l’argomento)-

        Dentro la scuola i protagonisti ‘come’ stanno?
        –      I ragazzi, sempre meno disposti a fare fatica per nulla e (è un nostro personalissimo parere) perfettamente consapevoli ( in quanto fetenti, menefreghisti e crudeli), stanno male: tendono ad adeguarsi o a ritirarsi nella speranza di proteggersi; spesso si lanciano in forme di comportamento violento, ‘cercano i divertimenti perché non sanno gioire’.
        Dove, a nostro modesto parere, Hanno bisogno di imparare a fare domande e soprattutto di una Scuola che glielo insegni.

        –      Gli insegnanti/educatori, mortificati da un ruolo socialmente svalutato e da stipendi inadeguati e incongrui, spesso faticano in classe, per opporre “la noia del facile” la passione del difficile; per trovare parole convincenti da dire e soprattutto esempi da offrire.

        –      I genitori, per formazione, o per stanchezza e a volte per senso di colpa appaiono incapaci di interpretare ‘con disinvoltura‘ le regole della disciplina e del rigore.
        Spesso distratti e stanchi (soprattutto – loro malgrado – le mamme) dal doppio impegno dentro e fuori casa.

        –       I Dirigenti scolastici si danno da fare, ma raramente sono in grado di orientare con autorevolezza agli obiettivi.
        Spesso manca loro la necessaria sensibilità di ascolto, nei confronti dei bisogni degli utenti e degli operatori, e un profondo rispetto per le emozioni di tutti e di ognuno.

        –      Da molte parti (a iniziare dalle indicazioni europee) si dà largo credito ai meccanismi della valutazione e autovalutazione, quasi fossero, di per sé, garanzia per una buona qualità culturale ed educativa della scuola stessa.
        Vengono moltiplicate e continuamente perfezionate procedure diverse per valutare, spesso con notevole dispendio di energie e di tempo e con frutti decisamente scarsi.
        Per una buona scuola non basta infatti ‘misurare’.

        –      I nostri politici intanto sembrano rimanere a guardare, distratti e indifferenti.

        Sei punti individuati, con profonda umiltà, dove al di là di generiche analisi, si racchiude il problema.
        Vi ringraziammo, infine, lady Marirò, per la profondità delle vostre asserzioni, avvalorata dal fatto che, voi milady, svolgete la vostra attività di insegnante entro quell’alveo, da noi, affrontato.
        Infine, come noto, il personale docente siciliano, proprio per forma mentis, è fra i migliori della letteratura scolastica italiana.
        Tanti e amplissimi sono gli esempi, i laboratori d’idee e gli autori che tanto hanno dato nella formazione dei futuri quadri, dirigenti, letterati e quant’altro.
        Abbiate le nostre cordialità vivissime estensibili alla padrona di casa, lady nadia e ai frequentatori di questa splendida magione.

        Salutazioni

        The Milord

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      3. Ovviamente l’indicazione “Lady Nadia” venne espressa in maiuscolo.
        Il refuso, nostro particolare amico e confidente, s’insinua anche dove non gli compete.
        Una punizione biblica dunque?
        Per noi sicuramente.
        Cordialità lady Nadia.

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    2. Ogni caso và sicuramente valutato individualmente. Sicuramente ci sono genitori e insegnanti validissimi come il contrario.
      Il gruppo, l’aggregazione, in questa età adolescenziale, può interferire con i valori educativi familiari e scolastici proprio perchè per esserne parte, il ragazzino/a deve dimostrarne l’appartenenza, a volte attraverso gesti o parole che non sente propri, o scindono dall’educazione recepita. Tutto questo è pericoloso perchè non ha ancora un carattere formato.
      Comunque hli argomenti sono tantissimi e questo è un racconto. Non volevo generalizzare, ho solo cercato un “movente” per la storia. Ma è bello che questo abbia portato delle riflessioni cara Ili6, bisogna aprire gli occhi e questo è certo. Un caro saluto.

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      1. Infatti, milady, l’occasione del vostro gradevolissimo racconto, ha acceso un dibattito spontaneo qui,m proprio in casa vostra. Ecco la manifestazione intelligente di chi, scrivendo, provoca comunque delle reazioni.
        A tal fine ci rifacemmo ad un vostro passaggio:
        o scindono dall’educazione recepita

        Ecco, il fulcro a nostro umilissimo parere, è questo: qual’é il valore dell’educazione recepita? Abbiamo, noi, degli standard per poter definire dei bambini che, indiscutibilmente … Molto spesso sono assai perfidi. … ?

        Nella comune accezione, la pubblica coscienza definisce, analizza e condanna senza che noi, umili mortali racchiusi in un singolo corpo possiamo liberamente decidere. Dunque?
        Ci affidiamo al comune senso di discernimento?
        Col rischio di ricominciare questo girone infernale?

        Ritenemmo che la perdita dei valori fondamentali quali “la famiglia”, in prima battuta, come elemento fondante, e la scuola, come costruzione primaria dei futuri cittadini, siano la causa.
        Tutti i soggetti, fin qua interpellati, antepongono il personale interesse a quello collettivo. Ci riferimmo agli educatori (siano essi insegnanti, o genitori).

        la ricetta è complessa e come avete ben esplicato, deve sottostare al vostro movente e quindi non perdere di vista il messaggio sociale che ci avete donato, lady nadia.
        Brava e buon fine settimana vivissimo., a voi e ai vostri attentissimi lettori.

        Cordialità

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      2. Carissima Nadia,il tuo bel racconto sta generando riflessioni e confronti. Mi piace! Questo è il vero senso di un blog.
        Ti abbraccio, buona domenica a te e a tutti i tuoi autorevoli e sensibili lettori.
        Marirò

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    1. Non è la scuola la primaria agenzia dei futuri cittadini. L’elemento fondante resta la famiglia. A seguire la scuola, in un continuo interscambio, confronto, complicità, interesse comune. Ma la scuola non può e non deve sostituirsi alla famiglia. Lasciando stare questo e rivolgendoci, come ben accenni, all’educatore, sia esso genitore o insegnante, occorre che chi educa sappia cosa educare e come educare, ma occorre anche che la società che sta attorno ad un educatore, non contribuisca in mille e sottili (o evidenti) modi a distruggerne autorevolezza e dignità, cosa che invece è accaduta con la scuola.E che sta accadendo con la famiglia.

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  4. Dibattito ampio e stimolante. Pur rispettando le diverse opinioni, io rimango della mia: i bambini sono cattivi, perché tali nascono, non so se a causa del peccato originale (sono laica) o per altre ragioni. L’uomo è l’animale più malvagio che esista. E lo dimostra ogni giorno. Campi di sterminio, bombe atomiche, guerre… si è mai visto un lupo sganciare un ordigno nucleare?

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  5. Non mi offendo per un refuso!😊 E colgo l’occasione per ringraziare tutti voi per questo dibattito che senz’altro merita tutta l’attenzione e non per il mio racconto ma per i nostri figli e tutti quei ragazzi ( e credetemi non esagero) almeno uno ogni due classi (!) che deve fare i conti con bullismo, razzismo, offese.
    Sono molto dura in merito e sull’argomento. Trovo che non tutte le scuole stiano affrontando il problema come si deve. Molto bello ma ovviamente oneroso, sarebbe inserire in ogni scuola una figura di educatore che, penso serva più di un sostegno. A volte si cura un ritardo e non si va all’origine. ( magari disattenzione, apatia, paure ).
    Dico che alcune scuole lo fanno ma…troppo poche.
    Una bambina è arrivata a tentare un suicidio e purtroppo non è la prima. Senza contare tutti coloro che non arrivano a tanto per fortuna!!!!
    Ciao a tutti.

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  6. Non essendo mamma posso capire solo in parte il dolore che possono provare dei genitori in casi simili. Credo anche io che il ruolo fondamentale per un figlio l’abbiano i genitori ma credo che anche la scuola abbia le sue responsabilità.

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  7. Il bullismo non è un fenomeno dei nostri giorni, forse lo è il termine con cui si indica questo fenomeno, ma certamente non lo sono le modalità. Quando andavo a scuola io, e sono ora alla soglia dei 50, c’era un pestaggio un giorno sì e l’altro anche, dalle elementari alle superiori. Si doveva solo sperare di non finire nel mirino dei baby-delinquenti. Anche io le ho prese qualche volta, sia a parole che nei fatti. Pensa che ho perso anche un anno alle superiori. Avevo scelto una scuola superiore per motivi… bé, mio fratello era “passato di lì”, ed avrei già avuto i libri 😛 Mi ritrovai in una scuola da incubo, con bande di teppisti che giravano a pestare chiunque stesse loro antipatico e subì personalmente un episodio molto simile a quello racconti: durante una interrogazione, i soliti due teppisti iniziarono a rubarmi le cose dal mio banco e dalla mia giacca, lo scopo era “punirmi” perché in precedenza avevo osato prendere le parti di una “vittima”. Mi allontanai due o tre volte dalla cattedra per recuperarle e farli smettere. La terza, l’insegnante mi disse “basta! Se to allontani ancora durante l’interrogazione ti do’ tre!”. Ovviamente finì proprio così. Attenzione però: lei aveva visto perfettamente cosa stava succedendo, ma non aveva le palle per mettersi contro gli studentelli-teppisti. Infatti quando ho letto il tuo racconto, ho automaticamente pensato “sì, sì… certo che non ha visto, come no!”. Quello fu solo uno dei tanti episodi. Era incredibile quella scuola: negli intervalli si scatenavano “cacce di gruppo” e pestaggi selvaggi, e nessuno faceva nulla. Alla fine decisi di andarmene e riniziai da un’altra parte.
    La differenza è che a volte oggi questi episodi escono fuori, purtroppo però quando accadono fatti gravi, gravissimi, altrimenti si viene a sapere molto poco, a fronte di un “sommerso” enorme.
    Io sono convinto che la situazione sia migliorata rispetto ad un tempo dove episodi come questi erano la normalità, almeno nelle scuole non “privilegiate”. Tuttavia è incredibile vedere quanta omertà ci sia ancora, perché, guarda, non è credibile pensare che nessuno si accorga di quello che avviene. E più che per paura, la gente non parla perché si fa semplicemente “i fatti propri”, si “gira dall’altra parte”. Questo è, a mio avviso, ancora più grave.
    http://www.wolfghost.com

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    1. Oh caspita! Ti chiedo scusa. Nel marasma delle email, che non ho ancora imparato a gestire, mi era scappato questo tuo commento. E che commento!😊
      Purtroppo mi spiace tu abbia fovuto così duramente scontrarti con questo fenomeno ( che fenomeno non è considerato che è invece all’o.d.g.)
      Una mia amica mi ha riportato lo stesso tuo iter, più o meno.
      Il problema è che passano gli anni e siamo ancora qji a parlarne. In ogni classe dovrebbe “girare ” una figura di educatore volta a intercettare questi frequenti episodi e troncarli sul nascere. Ecco quello che penso. E credo che un comportamento civile venga prima di rocambolesche nozioni.
      Grazie per aver voluto condividere qui la tua esperienza, che comunque, come tutto nella vita, è senz’altro servita a costruire quella bella persona che sei ora. A presto!

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  8. Il bullismo è una brutta piaga, purtroppo non nuova nella nostra società, anche se ultimamente i casi di bullismo sono all’ordine del giorno e più severi rispetto a mezzo secolo fa. Va detto che il bullismo c’è sempre stato storicamente parlando. Oggi il fenomeno, tutt’altro che da sottovalutare, ha preso una piega nevralgica che rischia di compromettere la società in maniera piuttosto radicale e pericolosa. I casi di bullismo spingono spesso al suicidio l’offeso, ma non mancano casi in cui i bulli uccidono o provocano gravi danni alle loro vittime.
    Lucrezia è vittima di un massiccio sfottò da parte dei suoi coetanei, il quale degenera presto per diventare forma estrema di cattiveria. L’accanimento dei bulli contro la povera Lucrezia spinge quest’ultima a un atto insano, radicale. Non aggiungo altro per non rovinare il piacere della lettura ad altri lettori. Le implicazioni sociali che metti a nudo in questo racconto molto realistico non possono non essere prese in seria considerazione. Un gran bel racconto che fa riflettere sull’incompetenza o l’incapacità di alcuni genitori nell’accorgersi del malessere che, spesse volte, accompagna i figli nell’età dell’adolescenza, certamente la più delicata.

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