Questa? E’ casa mia. “Sorbole!” (pubblicato in antologia “racconti del lago” Historica ed.)

fattoria diroccata.JPG

Si ringrazia il web per la foto di Ennio Poletti.

Mi capita spesso, come ora, di osservare palazzi e case. Cerco di coglierne i riflessi sui vetri, il colore delle tende. Osservo i loro davanzali adornati di fiori, oppure, nella stagione fredda, anche i vasi solo vuoti, il loro colore, la loro forma. Quali panni sono stesi sui balconi o ogni altro oggetto che vi è stato appoggiato per caso. Ogni angolo cela la vita, ogni luogo crea una sua atmosfera e mi pare di percepirne quell’energia nascosta che questi emana inconsapevolmente; tento di carpirne il più possibile e di farmi un’idea sulle persone che abitano dietro a quelle finestre, una per una. Parecchie di loro ormai le conosco anche. Osservo con maniacale attenzione dai serramenti lasciati a volte aperti, tutto ciò che capita di scorgervi all’interno. Riesco a percepirne l’energia, molte volte positiva, altre volte no. Diciamo che questo è il mio passatempo preferito.
Il cielo di questa tarda mattinata invernale, finalmente terso, azzurro e profondo dopo giorni di lunga e ininterrotta pioggia e vari toni di grigi… “sorbole!” Si… oggi favorisce le mie riflessioni.
Mi pare quasi che il mio animo stanco voglia spingersi fuori, lontano da me, senza lasciarmi del tutto però. Posso sentirlo premere e allargarsi, ingigantirsi verso il lontano orizzonte e, in altezza, fino a quelle due nuvole bianche lassù, che passeggiano orgogliose, leggere e vanitose mentre cambiano velocemente forma. Io invece sono sempre qui, sempre vestito uguale e mi posso limitare soltanto ad osservarle.
Ed è questo tutto ciò che ho. Il cielo e il paese sono la mia televisione. Ogni tanto leggo il giornale del giorno prima che trovo in qualche cassonetto, così come, di rado, qualche libro infilato nell’immondizia.
Possiedo anche un po’ di questa terra, che quasi mi spiace calpestare. “Sorbole!” Sempre con queste scarpe marroni, ormai consumate e smunte, le cui stringhe, una volta, erano di un bel giallo limone ed ora invece completamente annerite.
Ricordo quando io e mia moglie Anna le acquistammo giù in città. “Sorbole!” erano care, eppure ci piacquero e le comprammo, così come tante altre cose, utili e inutili. Fine della storia.
Ecco, posso dire oggi, che almeno erano di ottima manifattura poiché indosso unicamente queste ormai da anni, anche se la suola si è completamente usurata.

“Sorbole!” Conosco il momento preciso, e dico: proprio il momento preciso, in cui, ogni mattina, esce di casa Giovanni, il benzinaio. A passi stretti, mentre fischietta, percorre a piedi la piccola salita che separa la sua bella villetta dal suo distributore di benzina a due pompe, l’unico del paesino.
Lui si che ha una bella vita! Ma non sono geloso, ci tengo a specificarlo. Beh, forse un pochino, solo un pochino.
Ancora prima, all’alba, il pane viene consegnato regolarmente al piccolo alimentari accanto al lavatoio abbandonato. Un Fiorino bianco, che lascia una scia di profumo di farina e di buono, parcheggia proprio lì sulla sinistra quasi davanti a me. Si arresta sul ciglio ciottolato della strada, e questo ogni santo giorno esclusa la domenica. Dopo pochi istanti la portiera si apre e, insieme alla musica della radio, compare un uomo brizzolato. “Sorbole!” Costui ha l’altezza di un nano e senza alzare lo sguardo, sbuffando e imprecando, scarica sempre la stessa cassetta che un tempo fu bianca e ora ha perso il suo candore. La spinge al di sotto della serranda che la signora Maria, al suo arrivo, lascia rialzata per meno di un metro, proprio per permettere lo svolgimento di questa faccenda. Due braccia bianche e sottili e delle manine rugose compaiono da sotto la saracinesca, esattamente come due lumache che si avventurano fuori dal loro guscio, afferrano la cassetta trascinandola all’interno e facendola scomparire. “Sorbole”, ricordo quanto era buono il pane appena sfornato! Croccante e insieme morbido, fragrante e salato al punto giusto… Ogni volta, a questo pensiero, mi si socchiudono gli occhi e sento un vuoto allo stomaco.
Il lavatoio è popolato dagli spiriti delle signore, le nonne delle nonne, che un tempo vi si recavano a lavare i panni. Ora l’acqua non arriva più, ma se mi siedo sul bordo del vascone di sasso grigio, quando ancora il paese è assopito nel sonno, ad ogni piccolo movimento si crea un’eco e a volte mi pare di sentire qualche bisbiglio di donna, qualche pettegolezzo, qualche risatina sommessa e, a volte, il grattare della biancheria sui sassi.
Qui in paese esiste questa leggenda, nessuno ci crede. Io, “sorbole” sì. Credo che la gente, al giorno d’oggi, sia incapace di ascoltare, troppo presa dalla sua vita frenetica , scontata e banale. Credo che sebbene viva in questo mondo non gli appartenga pienamente.
Infatti sono pochi quelli che incontro e che mi degnano di uno sguardo, di un saluto. Forse fanno finta di non vedermi, “sorbole”, sono un poco di buono no? O magari sono diventato un fantasma dei tempi che furono. Mah!
Non ho un lavoro, non ho famiglia. Un tempo però li ho avuti, ho avuto tutto, esattamente come voi altri!
Quando rimasi disoccupato per colpa della crisi, anni fa, mia moglie fuggì via, portandosi con sé l’unico mio figlio che aveva soltanto 4 anni. Il sangue del mio sangue. E da quel giorno, “sorbole”, spariti… chissà dove!
Fummo costretti a vendere il nostro appartamento e lei che era più furba di me, sistemò i debiti e se la diede a gambe levate con quel poco che le avanzò ficcato in tasca.
Un uomo senza lavoro è una nullità, non può permettersi nulla, nemmeno una famiglia. E dire che mi iscrissi a tutti gli uffici di collocamento, passai in rassegna ogni impresa nella zona, parlai cinque volte con l’assistente sociale che, per qualche mese, mi impiegò persino come netturbino comunale. Presto però a causa del numero elevato di richieste, dovetti cedere il mio lavoro ad un certo Alì, lui ha una moglie e 3 figli da sfamare. Certo. Giusto. Almeno credo.
E così che un uomo senza lavoro perde anche il sorriso e, insieme, la voglia di vivere.
Nessuno ti rispetta più, e non importa se per trent’anni sei stato una persona normale con un impiego normale (beh, certo da operaio!). E non conta che io timbrassi proprio ogni giorno, anche in anticipo, nonostante i vari malesseri, che cercassi di eseguire i miei compiti egregiamente, che mi sforzassi di farmi piacere anche lo stesso monotono gesto che compivo milioni di volte per turno di nove ore sotto quella squallida macchina grigia\verdastra di gelido acciaio.
Niente ha più importanza ormai, e a dire il vero, quello che sono stato non esiste più. I ricordi del passato sono ormai attutiti, confusi, anzi: quasi completamente cancellati.
Di che colore era il pavimento in salotto? Come si chiamava il collega che ogni tanto mi offriva il caffè e con il quale fumavo una sigaretta? Di che colore, precisamente, erano i meravigliosi occhi di mio figlio?

Nulla.

Ma che colore ha il nulla? Forse bianco, come un foglio di carta senza neanche una scritta e nemmeno un segno… oppure come l’attimo dello spavento che talvolta ci colora il volto. No, forse grigio come la cappa di smog che copre spesso d’abitudine il nostro cielo. O magari nero, come il buio che mi circonda ogni notte, mentre io, rannicchiato sotto il portico del rudere della vecchia fattoria abbandonata, nel campo adiacente al bosco, cerco di riposare senza pensare al freddo che, in inverno, mi penetra nelle ossa e le irrigidisce. A volte, quel gelo, mi fa sentire già morto.
Non è facile procurarsi ogni giorno qualcosa da bruciare che mi consenta di accendere un piccolo falò, e, anche quando ci riesco, questo si esaurisce puntuale appena mi addormento. E il freddo rimonta, duro e impietoso, mi paralizza i muscoli, mi dolgono le orecchie.
Ma quando mi addormento, sogno, solo per un po’. Solitamente cose belle, isole tropicali, donne prosperose. A volte persino una partita a carte con mio figlio o di essere su una nave e di fare il pescatore. E, “sorbole”, non potete immaginare la mia delusione nel risvegliarmi trovandomi atrofizzato e impotente sotto quel casolare pericolante. Figurarsi che non ha nemmeno più il tetto! L’unica cosa bella è che sul mio soffitto risplendono le stelle, e quelle vere! Alla stella Polare o alla costellazione dell’Orsa rivolgo ogni sera la mia solita preghiera: “sorbole!” E fammi cadere questo rudere, tutto e di colpo, sulla testa, stella stellina!

I Carabinieri, durante il mio primo anno di vagabondaggio, sapevano bene dove trovarmi. Venivano qui e mi accompagnavano in caserma almeno due volte alla settimana. Non mi dispiaceva mica passare una notte al caldo e bere un po’ di brodo offerto dal maresciallo. La mattina dopo ero già fuori, e la sera seguente di nuovo qui in “casa mia”. Peccato si siano presto rassegnati, forse hanno avuto cose più importanti da fare, e da qualche anno a questa parte non mi hanno più né cercato, né arrestato.

A dir la verità non ho più neanche molti pensieri da fare e tantomeno parole da dire. Un tempo avevo la battuta pronta, ero sempre allegro, allora si che sapevo dialogare! In tanti ricercavano la mia compagnia, Non come oggi. Ora non ho più voglia di buttare via il fiato. Nessuno vuole essere amico di uno straccione.
Quelle rare volte in cui qualcuno, per essere gentile, mi rivolge la parola, voltato l’angolo, stai pur tranquillo che si è già scordato di me e di quello che ci siamo detti.
Normalmente la gente mi evita, i bambini ridono e si scostano. Sarà perché puzzo. Lo so, “sorbole!” Non odoro certo di rosa.
Già patisco tanto di quel freddo che, un qualche giorno, mi ritroveranno rinsecchito come un pezzo di merluzzo salato… figuriamoci se di inverno mi vien voglia di lavarmi!
Solo con l’aria tiepida scendo al fiume, a ben due chilometri da qui. Comincio infilandoci i piedi, li vedo diventare viola. Poi piano piano, immergo le ginocchia e infine, solo dopo qualche minuto, riesco a sedermi dentro, senza nemmeno respirare. Non potete immaginare quanto sia fredda quell’acqua.
Rimango un pochino così, a mollo, con tutti i vestiti, almeno si danno una rinfrescata anche quelli. Mi do una bella grattatina alla testa,” sorbole”, ai pochi capelli che mi sono rimasti. E quando esco dall’acqua e rimango impalato al sole ad asciugare, mi sento man mano più leggero e addosso, finalmente, una parvenza di fresco e pulito (si fa per dire).
E poi c’è Adriana. Ha 55 anni. Quasi tutti i pomeriggi esce di casa per recarsi al cimitero dove è seppellito il suo defunto marito. Posso scorgere già in lontananza la sua sagoma tozza e robusta, zoppicante, in lento avvicinamento per la salita.
La aspetto davanti al bar, soggiorno spesso lì perché qualcuno, ogni tanto, mi allunga più volentieri qualche monetina e, ogni tanto, posso chiedere un bicchiere d’acqua dal rubinetto.
Adriana parla poco, mi piace proprio per questo. Una volta, solo una volta, si è lamentata con me del suo dolore. Un problema alle anche che, a suo dire, non avrebbe mai operato, almeno fino a quando sarebbe riuscita a camminare.
Arriva con la sua borsa nera a tracolla e un sacchetto di tela azzurra nell’altra mano, contenente del cibo per me. Credo che, se non fosse stato per lei, sarei già morto. Non so se questo sia un bene od un male, comunque penso che togliersi la vita sia da vigliacchi e che l’istinto ci doni ancora quello stimolo di sopravvivenza o forse la nuda verità è che amo il sapore del cibo che Adriana mi offre. Ecco, forse desidero ancora vivere soltanto per le sue generose porzioni di lasagne. Non ha mai osato avvicinarsi più di tanto. Timorosa mi passa il sacchetto, tenendo una certa distanza. Io prendo avido ciò che contiene e glielo rendo sforzandomi di ricambiarla con un mezzo sorriso.” Sorbole”, è davvero una brava persona.
Ah, una volta mi ha detto:” Lo faccio volentieri, di portarti il cibo! Così mi sembra di cucinare ancora per Rolando”.
Se, per qualche motivo, Adriana non viene… allora mi tocca frugare nei contenitori dell’umido. Ho provato a ingurgitare qualsiasi cosa, anche avanzi amalgamati a fondi di caffè oppure dovermi succhiare le ossa del pollo già spolpate.” Sorbole”, la fame è una brutta bestia!

E’ giunta sera, nella consuetudine di sempre.
Mi rannicchio nell’angolino della mia fattoria, oggi non ho nemmeno voglia di pregare le stelle e non ho di che accendere il fuoco.
Oggi sono più stanco del solito. Gli occhi mi si chiudono quasi subito. Sento la morsa del freddo pigiarmi addosso con la sua forza, opprimermi e schiacciarmi alla parete che sembra sgretolarsi al mio contatto.
Chissà se domani vedrò Adriana.
Mi appare in un miraggio una vera camera da letto, calda e accogliente. Ho appena dato la buonanotte a mio figlio anche se, la luce era già spenta e non ho potuto osservare il suo viso. Mi infilo sotto un piumone che non ha niente a che vedere con la mia coperta straccia. Sento ancora la pancia piena della squisita pietanza mangiata già da qualche ora. Una donna mora e formosa mi raggiunge nel letto, mi sorride.
Ci abbracciamo, mi carezza.
Poco tempo mi è concesso qui, in questo sogno, ma “sorbole!” E’ meraviglioso lo stesso!
Buonanotte.

 

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

34 pensieri riguardo “Questa? E’ casa mia. “Sorbole!” (pubblicato in antologia “racconti del lago” Historica ed.)”

    1. La tristezza è davanti ai nostri occhi, tutti i giorni. Fortunatamente in egual misura alla felicità. E io sono una felice malinconica. Un abbraccio cara Laura!!!
      Oggi mi ci vorrebbe un dolce speciale. Cosa mi consigli?

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      1. Hai scritto molto bene questo racconto, prima di addormentarmi ieri sera pensavo a quanto sono fortunata ad avere cosi’ tanto amore intorno a me, non dovrebbero succedere queste cose ma purtroppo c’e’ tanto egoismo a questo mondo, ti abbraccio cara, domani o dopo posto una ricetta di un dolce molto buono, e’ quello che vedi nella foto all’inizio del blog, poi leggerai, buon venerdi’ e buon weekend, ❤

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  1. Ecco la bolognesità del sorbole.
    Che sorpresa, mia signora.
    Per un attimo ci trovammo catapultati nella nostra Bologna e mò sorbole se sentimmo il vostro racconto.
    Quindi, se ce lo consentiste (dopo averci provocato) ci esprimeremo in lingua, sorbolin d’un sorbolon.

    Aiò vest tot quel c’al dìsen ed bròt!
    Mò sorbole, c’àl bròt quel. La trestazza i lacrem, son piò d’al mer. Al mé vida i fragranz, mo sorbole, t’al vest ed la dfrànz?

    Äl parôl ed bugnaiṡ äli én asè par psair esprémmer tótti äl sfumadûr dal côr e dal zarvèl dl’umanitè.
    Sorbole, däl vôlt ai é un quèlc incâli par definîr i quî pió liric, mo ai é dimónndi manîr d’arsôlver sti problêma.
    Sorbole, tótt i èser umàn i nâsen lébber.
    Mò soccmel d’una sorbolina, l’é vair: l’òmen i sòn òmen.

    Un gran bel passaggio mia signora.
    Un passaggio che merita di esser letto in silenzio e con profondo rispetto, quale questo vostro racconto merita.
    Abbiate le nostre cordialità ammirate.

    The milorder

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    1. Ahaha, mi sono sforzata di capire e credo di esserci riuscita in buona parte grazie a alcune similitudini, forse, col francese parlato e non certamente scritto. Il nostro dialetto comasco è molto diverso… incredibile come, una volta, all’interno dello stesso stato, di rischiava di non capirsi davvero. Grazie Milord per questa chicca dal sapore pregiato ed antico.

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      1. Beh, nostra bellissima signora, tra Como e le “Romagne” (si usava il plurale in quanto l’Emilia così intesa come adesso,ancora non esisteva se non nelle divisioni in contee) c’era un abisso.
        Stiamo parlando di Regno Pontificio dove, la seconda capitale era Bologna. L’influsso francese, indiscutibilmente, è stato forte, ma le componenti erano altre due equamente ripartite, ovvero il latino e il tedesco sassone (l’influsso tedesco/sassone deriva dall’ingresso dell’imperatore nei territori pontifici che ha lasciato influssi fortissimi.
        C’é anche una componente spagnola che, seppur minima, esiste e insiste.
        _________________________________

        Aiò vest tot quel c’al dìsen ed bròt!
        Mò sorbole, c’àl bròt quel. La trestazza i lacrem, son piò d’al mer. Al mé vida i fragranz, mo sorbole, t’al vest ed la dfrànz?
        Äl parôl ed bugnaiṡ äli én asè par psair esprémmer tótti äl sfumadûr dal côr e dal zarvèl dl’umanitè.
        Sorbole, däl vôlt ai é un quèlc incâli par definîr i quî pió liric, mo ai é dimónndi manîr d’arsôlver sti problêma.
        Sorbole, tótt i èser umàn i nâsen lébber.
        soccmel d’una sorbolina, l’é vair: l’òmen i sòn òmen.
        ——–

        Ho visto tutto quello che si dice (si legge) ed è brutto, malevolo (tristemente disperato, sarebbe la traduzione più corretta di “bròt”.).
        Ma sorbole, che brutta cosa.
        La tristezza, le lacrime sono più vaste del mare. Nella rettitudine della mia vita, ma sorbole, hai visto la differenza?
        Nelle parole in bolognese, ci sono, per piacere, tutte le sfumature del cuore e del cervello dell’Umanità.
        Sorbole, a volte si trova qualche intoppo nel definire concetti più moderni, ma ci sono molti (dimónndi=molto/molti) modi per risolvere tali problemi (sti problêma=questo problema/questi problemi, è usato indifferentemente sia per il singolare, sia per il plurale).
        Sorbole, tutti gli esseri umani nascono liberi.
        Ma (*** intercalare che sottolinea una presunta caratteristica orale delle donne emiliane per la quale la parola sorbole ne è, appunto, una storpiatura) di una sorbolina, è vero: gli uomini sono uomini (in bolognese l’affermazione “òmen”, oppure “l’òmen” è molto generica e si riferisce all’Uomo inteso come Umanità).
        __________________

        Beh, sperammo di averVi offerto un servizio, estensibile ai vostri arguti lettori.
        (Il ché, detto da noi, di origine tedesca e molto affini allo spagnolo, è tutto dire</i).
        Abbiate le più distinte salutazioni.

        The milorder

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  2. Sorbole! E’ emiliano la voce narrante!
    Complimenti vivissimi per come hai scritto questa storia. Mi ha affascinato dalla prima riga all’ultima perché hai colto perfettamente i pensieri di un uomo che pur essendo travolto dalle disgrazie e difficoltà della vita conserva una dignità che fa impallidire molti nostri concittadini.

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    1. (ops mi è partito a metà) esperienze eclatanti nella sua vita, abbia colto di essa l’essenza e la magia tramite un sesto senso e una percezione delle cose più sviluppati rispetto alla maggior parte della gente. E questo può compensarne delle lacune culturali. Ti abbraccio. ciao.

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  3. Un uomo alla deriva come ce ne sono tanti in questa società cialtrona e indifferente
    La tua storia, inventata o meno è storia reale e dolorosa
    Ci vuole infinto coraggio per sopravvivere così
    Brava, Lady Nadia, mi sei piaciuta molto

    Un abbraccione
    Mistral

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  4. Magari un bel würstel con crauti. Meno sano e meno raffinato ma più nostrano.
    Si addice di più allo spirito di questa storia che mixa la povertà con la ricchezza interiore. Praticamente quasi impossibile come vederti mangiare würstel e crauti.

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    1. Ciao Merlino. Ma…ci conosciamo? Non credo perchè sapresti che adoro i wurstel, i crauti e anche accompagnati da un’ottima birra.
      Mi è sfuggito se lo dovrei prendere come un complimento o come una critica. Vorresti dire che chi è povero non può essere ricco interiormente? O forse ho capito male?😊 Ciao.

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  5. Questo racconto ha partecipato al concorso:” I racconti del lago” per autori delle provincie di Como e di Lecco, aggiudicandosi la selezione, con un’altra ventina di autori, per un’antologia di racconti che verrà pubblicata dai primi di maggio 2016 gratuitamente da “Historica edizioni”.
    … felice!😀

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  6. Un racconto questo, “Sorbole”, che è perfetta polaroid dello stato in cui versa l’Italia e non solo. In certi passaggi ho rivisto un po’ del Woody Guthrie scrittore, e cantautore “contro” anche. Si vive, o meglio si sopravvive della carità operata dal povero verso uno che povero lo è di più. Si potrebbe forse parlare di misericordia e compassione, ma forse è più giusto e vero che essendo che si è più o meno tutti sulla stessa barca, si cerca di stare gli uni vicini agli altri, quasi che così possa aderire una qualche misterica forza e un coraggio nuovo intorno e negli animi vessati.

    Non ci sono considerazioni politiche in “Sorbole”, c’è invece la descrizione, partecipata da parte dell’autrice, della condizione umana; non è il bello che si racconta qui, si racconta invece una realtà – e poco importa se si tratta di finzione, di un parto della mente -, una realtà che ogni giorno annovera nuovi disperati lungo i marciapiedi delle città, dei paesi, delle periferie. Puoi avere oggi ogni cosa e il giorno successivo un tetto di stelle.
    Per un momento, per uno soltanto e molto breve, tutti gli uomini e le donne vengono al mondo liberi, poi la vita, che si fa presto esistenza e sopravvivenza, è tutta spinta verso il collasso: non esistono promesse di eternità, di amore felice e incondizionato, esistono invece barriere e costrizioni, per cui se un uomo oggi perde il lavoro, bene, al più tardi domani perderà anche la considerazione della moglie o della compagna. Più difficile, a mio avviso, che se una donna perde il lavoro, il marito domani non la consideri più. E però bene è non deviare dal discorso principale e tornare subito sulla carreggiata.

    Oggi si vive della carità della gente, e meglio ancora si sopravvive di quella carità che il meno povero opera nei confronti di chi con l’acqua alla gola, costretto a rovistare nei cassonetti, a ingollare avanzi e qualsiasi altra cosa possa lontanamente sembrare commestibile.

    Lo stile è fotografico, sostanzialmente basato sulle impressioni di questo uomo, suo malgrado diventato un homeless, purtroppo uno dei tanti che non pochi poeti-cantautori hanno portato all’attenzione del pubblico: da Bruce Springsteen a Bob Dylan. Da questo racconto, “Sorbole”, emerge come la nostra società, sotto il piede caprino di un capitalismo estremo e fascistoide, sia sempre più vicina a quella degli USA.

    Per quanto sopra spiegato, “Sorbole” è un racconto di grande respiro, non regionale o nazionale, bensì internazionale.

    Giuseppe

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    1. Commossa da questa recensione professionale e puntigliosa, è bello essere recensiti in questo modo… spero che nella mia vita mi possa ricapitare, ancora più bello per me il fatto di cogliere qualche frutto da questa mia passione forte, che mi sfoga e che mi diverte. Sebbene un racconto è piccola cosa…sono felice ma so che devo migliorare CONTINUAMENTE e soprattutto resto con i piedi ben poggiati per terra.
      Ti ringrazio per il tempo e le belle parole che mi hai dedicato. Grazie.

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  7. Trovato! E ne sono lieta perchè è un racconto che merita di essere letto. Le descrizioni sono perfette, il ritmo elevato e c’è una narrazione particolare, volutamente confusa, così come spesso confusi sono i pensieri dei tanti barboni, delle tante persone che non hanno saputo reggere ai cambiamenti repentini e malevoli della vita. Ma in questo, per molti aspetti e in varie misure, siamo tutti responsabili.
    Complimenti per la pubblicazione!

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