CAOS 9. (LA FINE)

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Annette era ormai nuda e sembrava non provare la benchè minima vergogna. Eichmann era riuscito ad azzerare ogni suo sentimento, ogni suo stato d’animo. Ora le girava intorno con la stessa insistenza di una mosca che ronza su una fetta di torta e a passi lenti. Ellen sapeva di dover temporeggiare. Cercò di farsi forza e di pensare ma in balia di quegli eventi ciò non era assolutamente facile . Fu una fortuna che professionalmente doveva essere abituata a mantenere un certo distacco dalle problematiche dei pazienti, e ora, come in quei momenti, doveva evitare ogni coinvolgimento cercando di estraniarsi e restare lucida. Cercò quindi di concentrarsi, isolandosi mentalmente proprio come durante il lavoro e come per un intervento divino, le balenò presto alla mente una buona idea.
Lentamente, molto lentamente, allungò la sua mano verso Annette, arrestandosi poco prima del suo petto, a qualche centimetro. Sfoggiò uno sguardo seducente ricercando un’occhiata di approvazione da parte di Eichmann. Lui, divertito, acconsentì immediatamente captando il messaggio, annuendo con un cenno del capo e lasciandosi sfuggire un sorriso antipatico e mezzo storto. Ellen proseguì il percorso della sua mano, lentamente, fino a toccare la pelle di Annette, proprio sopra il seno. La accarezzò disegnando cerchi attorno ai capezzoli, con tutto il palmo della mano, simulando un grosso piacere. Eichmann, inizialmente, ne fu colpito e ne rimase incantato. Con un ghigno malvagio inclinò ancora di più la testa che ormai era sostenuta dalla spalla di Annette. Ellen ne poteva udire un eccitato ed accelerato respiro.
Ellen tentò di approfittare di quella dimostrazione di debolezza ed abbandono del dottore. La donna avrebbe potuto tranquillamente vomitare, invece, senza sapere come, si fece forza alternando le sue attenzioni tra i seni di Annette e i capelli grigi di Eichmann. Erano ruvidi al tatto, robusti e aggrovigliati e le parvero nettamente in contrasto con la pelle di Annette così morbida e vellutata. Si sentiva a disagio ma doveva proseguire.
Eichmann era visibilmente agitato, emetteva grugniti e risolini isterici ogni volta che la mano di Ellen gli sfiorava appena la testa, per qualche secondo, probabilmente, si scordò persino della sua missione e dell’odio che l’aveva condotto a tanto.
Poi, improvvisamente, accadde il prevedibile: come una furia si rizzò in piedi dritto e con tutta la sua imponenza gridando: “No, non mi faccio fregare da voi! E non mi interessa questa assassina. E nemmeno tu! Sei una baldracca! Le donne sono tutte una rovina!” E dopo aver sfuriato, senza controllo, infierì uno spintone a Ellen che ricadde sul pavimento battendo la testa e perdendo i sensi.
Lui la raggiunse, impugnò con entrambe le mani il manico nero del coltello, che persino nel buio di quell’appartamento tentava di riflettere una leggera scia di luce proveniente dalle fessure delle persiane. Ma fu per un secondo. Un solo secondo. Poi si oscurò.
Le braccia si abbassarono di colpo, muovendo l’aria fredda. Il coltello fu piantato nel petto della donna. Lei tossì, si sforzò di respirare, per qualche istante, ancora e ancora finché il fiato si trasformò in un alito, poi in un soffio, poi in un volo di insetto e infine in imbarazzante silenzio. Una macchia rossa si allargava a vista d’occhio sulla benda che le copriva la bocca fino a impregnarla completamente. Pareva del vino rosso rovesciato a tavola su un candido tovagliolo. Dopo qualche secondo di infinito nulla, il male si insidiò in quel corpo e fu lui, colpevole, a farle emettere un ultimo, improvviso e forte sospiro che fece sussultare un pochino persino Eichmann. Quel corpo si stava rifiutando di trattenere oltre la sua povera anima che, finalmente libera, lo abbandonò in fretta per poi scappare verso un’altra dimensione attraverso le fessure di quella finestra sgangherata in fondo alla stanza.
Annette si rese improvvisamente conto della situazione, dell’orrore che la circondava. Ellen era morta. E anche lei: o meglio, fu come se già lo fosse. Quel locale la imprigionava nuda, pallida, vulnerabile, trasparente. La vergogna la assalì con prepotenza, il male era dentro di lei, potevi vederlo scorrere in quelle vene blu… Si sentì impazzire osservando il suo corpo infreddolito, insanguinato e dolorante e le parve un involucro sconosciuto, estraneo. Si percepì come già morta dentro, trafitta dalla violenza, consumata dalla colpa e annientata dalla malvagità, la stessa che era riuscita a possederla nell’oscurità di quelle ultime ore della sua vita. La sopravvivenza , l’istinto animale aveva predominato, il demonio portava a casa il suo trofeo: era riuscito a trasformarla in un animale, una bestia, esattamente come Eichmann. Ed ora lui la stava raggiungendo, le fu addosso. Lei si arrese totalmente. Chiuse gli occhi e si lasciò cedere sul pavimento. Non ebbe nemmeno timore di accusare altro dolore fisico. Ciò che le stava per accadere non sarebbe stato peggiore del senso di colpa che ormai l’attanagliava per la gola.
Il professor Eichmann, con due mani, le afferrò la nuca da entrambi i lati in una morsa strettissima. I pollici premevano così forte tra le orecchie e il collo da immobilizzarla anche se avesse voluto lottare. Ma non ne aveva voglia. Nulla aveva più importanza. Annette desiderava solo morire. Era un’assassina, non era migliore di Eichmann. Sentì le labbra del pazzo sulle sue abbandonarsi in un bacio marcato o qualcosa di simile. Improvvisamente accusò un colpo fortissimo alla nuca. Eichmann la stava sbattendo con forza sul pavimento. Ancora e ancora. Tre volte. Quattro. Si udì un rumore simile a quello di un grosso uovo che viene frantumato, poteva sentirsi la bocca colma di sangue, piena, amara e poi la stessa sensazione anche nel naso. Infine quel gusto acre lo poté percepire ovunque, anche salirle o scenderle dai polmoni.
Negli occhi chiusi nuovamente la visione dello sguardo di sua madre, poi di quello di suo padre. Quei sogni vigili rapidamente si colorarono di rosso, in seguito furono avvolti da una luce abbagliante, bianca ma calda. Sopraggiunsero forse delle convulsioni e tanto tanto freddo. Assenza di dolore. Pace. Blu. Grigio. Nero.
Un sonno di eterno la avvolse, e arrivò la sua fine.

Eichmann tolse la catena ad Anthony e lo scansò lottando con la rigidità che cominciava a imbalsamare le sue ossa. Lo sistemò poi in una precisa posizione. Ripulì alcune macchie sul pavimento, raccattò siringa, taglierino e qualche altro materiale, posizionandolo quasi maniacalmente attorno ai cadaveri metodicamente e calcolandone il millimetro.. Andò per diverse volte avanti e indietro, da quel locale alla cucina, portando con sé il coltello e aprendo e richiudendo più volte il rubinetto. Si aiutò con alcuni stracci che estrasse dalla sua valigetta e con uno dei quali strofinò anche la bocca di Annette. Poi uscì dall’appartamento bene attento a non lasciare altre nuove impronte e senza farsi notare. Sparì nelle strade buie della notte per quasi un’ora. Poi ritornò al mattatoio. Teneva tra le mani un’altra siringa che strinse prima nelle mani di Anthony, e poi riprese nelle sue. Si ammanettò di fianco ad Annette, o meglio, di ciò che restava di lei. Stando bene attento agli schizzi di sangue si infierì un paio di coltellate, al braccio e alla gamba e infine si praticò l’iniezione lanciando la siringa in un punto preciso, tra i cadaveri che lo circondavano. Venne colto da un sonno innaturale e sintetico mentre con la fronte umida di sudore cercava di contare per sopportare il dolore.

L’alba era giunta e lo dichiaravano le ombre risorte nel locale. Eichmann si stava risvegliando ma rimase immobile. Era felice. Aveva portato a termine la sua vendetta, annientato le sue vittime. Era riuscito a far visualizzare loro il male, quella sostanza invisibile e impalpabile ma certamente scura, che si cela ovunque e che, in determinate condizioni, può facilmente impadronirsi di ciascuno di noi. Come del nero calcare si insinua nelle pieghe della nostra coscienza per colmare i vuoti delle mancanze, della solitudine, per proteggerci dalla debolezza, per difenderci dai fallimenti, per renderci resistenti all’indifferenza, per permetterci una vendetta.
Il male è invincibile, il male è supremo. Il male, alla fin fine, in determinate condizioni estreme o di sopravvivenza, riesce comunque e sempre a possedere ogni cosa o ognuno di noi, senza distinzione alcuna.

SCENARIO 10.

Nel silenzio totale si udì finalmente scricchiolare la porta di ingresso. Alcune scie di forte luce bianca oscillavano nell’altro locale, in cucina e forse si udivano dei flebili bisbigli. Eichmann era pronto a recitare la sua parte e ancora stordito dalla droga, biascicando strillò: “aiuto! Aiuto! Sono qui!”
“ Metta le mani dietro la testa!” Ordinò qualcuno dall’altra parte.
La Polizia Federale aveva intercettato le telefonate e seguito le tracce giungendo all’appartamento della mattanza nei tempi stabiliti ma tutto era stato previsto dal sadico piano, ogni minimo dettaglio ed addirittura l’orario quasi preciso di quella attesa incursione.
Ora, in quel metro quadro di quello stanzino a disposizione della polizia, era solo un gioco di sguardi e di parole. Eichmann in questo era molto bravo.
Lo psichiatra non mostrò né debolezza né cedimento sebbene l’interrogatorio si protrasse a lungo e per chiunque altro sarebbe risultato estenuante. Per Eichmann no, grazie al suo bagaglio di conoscenze professionali sapeva benissimo cosa fare, cosa dire, come muoversi, come fingere alla perfezione. Chi meglio di lui?
Lancaster lo osservava analizzandolo, tartassandolo di domande, tante, sempre le stesse, cicliche. Ogni tanto una tirata di pipa e uno sbuffo di fumo.
Eichmann raccontò di un sospetto che gli balenò in testa, quando, dopo aver saputo dell’evasione di Anthony, venne a conoscenza che William, la guardia, quello stesso giorno non si era presentata in clinica. Dichiarò di essere stato subito certo della complicità tra i due. Riferì dell’odio ormai risaputo di Anthony nei confronti di Annette a causa di quella ultima e leggera visita che costò la morte dell’unico amico di Anthony: Edward. Raccontò di quanto erano complici Ellen ed Annette, di come la caposala aveva insabbiato questa vicenda riuscendo persino a far scagionare la dottoressa e di come egli stesso, personalmente, si fosse prodigato per mesi , desideroso di far luce su alcuni punti oscuri di questa faccenda.
Narrò di Anthony, della sua ostilità, del suo rifiuto verso le terapie. Descrisse diversi suoi atteggiamenti infantili e maniacali assunti in varie occasioni e dei quali era testimone tutto il personale della clinica.
Riportò anche l’episodio in cui dovette servirsi di un fabbro poiché qualcuno si era indebitamente appropriato di diversi documenti dei suoi pazienti forzando e spaccando la serratura del cassetto della sua scrivania.
Si rese disponibile a mostrare alla Polizia Federale ogni perizia necessaria e garantì loro la massima collaborazione.
Lancaster ascoltava ogni sillaba di ogni parola annuendo lentamente con la testa come trasportato da una noiosa melodia, ogni tanto grattandosi il capo, ogni tanto picchiettando l’indice sul tavolino posto dinanzi ad una piccola finestra che dava sul cortile erboso della centrale di polizia di Washington e dalla cui inferriata penetravano storti i raggi di un sole che tagliava la penombra di quello stanzino.
Ore e ore, domande e risposte. Sempre le stesse domande alle quali seguivano sempre le stesse risposte, precise, come i pixel di una fotografia.
Gli esiti delle analisi, i referti, le foto scattate sul luogo degli efferati delitti, tutto era perfetto, fin troppo perfetto.
Le morti erano avvenute una dopo l’altra, in rapida successione, troppo vicine tra loro per ricostruirne senza margine di errore alcuno la corretta cronologia. Questo era l’unico neo, l’unico dubbio che insidiava la mente di Lancaster che certamente non giocherellava più con la busta di tabacco; piuttosto aggrottava la fronte e si lisciava le sopracciglia e picchiettava ancora ripetutamente l’indice sul tavolo. Quella versione non lo convinceva del tutto ma non esistevano prove tangibili per sostenere una tesi differente o lanciare accuse , inoltre la sua squadra aveva analizzato ogni elemento, ogni particolare, meticolosamente come sempre, come tutte le altre volte.
Per cui il rapporto fu presto steso.
Anthony evase con l’aiuto di William, insieme rapirono Annette e si rifugiarono in quell’appartamento di periferia di proprietà della ex moglie del fuggitivo. Qualcosa andò storto, forse una lite: Anthony uccise William. Servendosi di Annette e del suo cellulare, attirò in quel luogo la caposala. Eichmann, decise tempestivamente di seguirla, non presentandosi al lavoro e fingendosi malato, notando l’inquietudine che dominava Ellen e che l’aveva spinta ad abbandonare repentinamente la clinica in quel primo pomeriggio come dichiarato ripetutamente durante l’interrogatorio. Lo psichiatra, commettendo un errore, permise alla caposala di varcare quella soglia. Suo malgrado comprese troppo tardi che in quell’appartamento stava accadendo qualcosa di orribile. La porta si era ormai richiusa e si udirono delle grida. Di istinto bussò ripetutamente ma Anthony riuscì a sorprenderlo: si ritrovò a terra, immediatamente fu drogato e in seguito venne ammanettato accanto ad Annette. Ellen fu poi obbligata a spogliare Annette che, ancora dolorante, aveva appena ricevuto una coltellata alla spalla dal pazzo Anthony.
Anthony aveva assistito compiaciuto a quel macabro spogliarello. Non appena Ellen slacciò l’ultimo bottone, fu da lui accoltellata al cuore, con una mossa violenta e precisa.
Anthony si iniettò poi il contenuto di una siringa, forse una droga per non percepire dolore, obbligando poi Annette in lacrime ad incidergli il petto. Sicuramente quella mente contorta, sadica e autolesionista desiderava aumentare in lei a dismisura il senso di colpa. E in quel momento, forse, impersonava il Cristo: l’onnipotente, colui che dona la vita e la toglie, a suo piacimento.
Annette eseguì senza fiatare, sempre più assente, sempre più vittima di Satana. Anthony, come se nulla fosse accaduto, accarezzò le sue nudità, con gusto, e poi, improvvisamente la sdraiò con forza a terra, massacrandola, sbattendole più volte la nuca sul pavimento.
Eichmann cercò di intervenire in difesa della donna ma ammanettato e ormai senza forze a causa della droga che si stava impadronendo lentamente di lui, non ottenne altro che una colluttazione con Anthony che, scaltro, ferì anche lui all’avambraccio e alla coscia destra.
Poi Anthony fu preso da un enorme smarrimento. Annette era morta, nuda e indifesa giaceva stesa dinanzi a lui.
Ciò che provava per lei era odio ma insieme anche amore ed ora la sua vita era vuota, nulla aveva più senso. Tutto intorno fu vuoto. Si accoltellò al petto, senza esitazione. Si tolse la vita.

SCENARIO 11

(un mese dopo)
Eichmann percorreva il lucido corridoio chiaro, con i suoi zoccoli di gomma ed il solito camice bianco. Si soffermò ad osservare un nuovo degente: un certo Herman, schizofrenico di secondo livello. Per un attimo, solo un attimo, un sadico mezzo sorriso gli deformò il viso. Ebbe un ricordo, non troppo lontano. Si avvicinò al paziente e appoggiandogli una mano sulla spalla si presentò: “ buongiorno! Io sono Eichmann, il direttore della struttura. Venga con me, la accompagno alla visita medica con la dottoressa Megan!”

Passeggiarono per alcuni minuti fianco a fianco, per poi sparire dietro alle porte scorrevoli di un ascensore grigio.

 

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

58 pensieri riguardo “CAOS 9. (LA FINE)”

  1. Due: STREPITOSO!
    Nessuna pietà. Nessuna vittoria del bene. Mi ricordi un altro dottore, Hannibal Lecter, che la fa sempre franca. Scrittura, suspense, orrore, terrore… tutto in dosi potenti!
    Accenni vagamente lesbo, atmosfera torrida, terribile. Ho divorato questo capitolo, e già lo so: lo rileggerò ancora e ancora, per imparare!
    Amica mia, ma quanto sei brava?
    Sai.. non avrei mai immaginato un finale simile. Sublime!
    Sei.. sei… TU!

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  2. Una nota positiva: non termina in modo banale!
    Torneremo, però.
    Vogliamo rileggerlo per bene!
    (preparammo: Dizionario della lingua italiana dei Proff. Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli; Critica linguistica e filologia letteraria italiana, del Prof. e Maestro Natalino Sapegno, Accademico dei Lincei, Grande accademico dell’Accademia dell’Arcadia, Accademico della Società Filologica Romana, Gran Maestro 33° grado della massoneria Universale di Rito Scozzese Antico e Accettato; Letteratura e grammatica italiana a curadel Prof. Luca Serianni, Grande Accademico della Crusca).

    Torneremo, torneremo, oh se torneremo!
    Siate agitata e cordialità!

    The best milorder in the world

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  3. e invece a me sarebbe piaciuto il “finale banale”. Che poi, pardon Milord, considerare banale il bene, la giustizia, la verità…beh, insomma…diciamo anche che in questo mondo ormai, e purtroppo, trionfano sempre più il male, la furbizia, l’intellighenzia satanica, e veder vincere il bene sta divenendo l’eccezione.Purtroppo, ripeto.
    Comunque, bravissima, Nadia! Hai reso benissimo ciò che desideravi far emergere e suscitare nel lettore: tensione e orrore.
    E così sia.

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    1. Ciao. Sai, questi giorni appena trascorsi sono stati per me fonte di riflessione sul bene e sul male dati i fatti terroristici ed altri “spunti”.
      In questo racconto, credo che si sia capito, Eichmann è una specie di reincarnazione di Satana. Un uomo intelligente e geniale che cerca di tirar fuori il male dalle persone.
      Invece l’ho fatto finire in questo modo, contro i luoghi comuni, perchè non sempre il bene vince e l’abbiamo sondato.
      Magari non al primo tentativo, neanche al secondo ma nutro la speranza che prima o poi questo accada.
      Purtroppo in tutti noi, in puccolo o in grande, c’è un male latente che, in condizioni estreme può essere esortato a prendere il sopravvento e questo è innegabile.
      Presa coscienza della sua esistenza e dei momenti in cui siamo più deboli, sarà più facile non permettergli di avere il sopravvento.
      E poi è un racconto e, ogni tanto, mi piace che la fone non sia poi scontata.
      Grazie mille un abbraccio. Sei fantastica come sempre.

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    2. Mia signora lady Marirò, Vi rispondemmo.
      Evidentemente non fummo né capiti, né compresi e ce ne dispiacque .
      Noi mai considerammo “… banale il bene, la giustizia, la verità …, mai detto e mai asserito.
      In questo racconto, probabilmente e a nostro umilissimo parere, non ci sarebbero stati come finale.
      Le parole, mia signora, sono importanti.
      Nessuna persona senziente, e con un po’ di sale in zucca, avrebbe mai potuto sostenere la generalità di quanto ci faceste affermare.
      Abbiate la nostra considerazione e cordialità.

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      1. Carissimo Lord,
        (Sospendo il voi) so perfettamente che non consideri banale valori come il bene, la giustizia, etc… ti leggo da un po’ e posso affermarlo con convinzione e piacere.
        E’ successo che quella tua ouverture asciutta,preceduta dalla lettura angosciante dell’epilogo, che ieri sera non ha aiutato il mio stato già’ preoccupato per altre cose di casa (hai presente quando inizi a leggere sperando di evadere dai pensieri e dal nervoso e invece ti catapulti peggio?) A star meglio, mi ha fatta “sbottare” In quel modo.
        Tutto qua, nulla di più. Succede, sai, almeno a me. Mi dirai che non avrei dovuto leggere Caos di Nadia. Non ieri sera. E invece l’ho letto. E apprezzato, nonostante il finale, che cosi doveva essere, ma che avrei desiderato diverso.
        Mica siamo, anzi sono, perfetta, eh…

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        1. Non devi scusarti Marirò, io penso di conoscerti un pochino. Mi spiace che caos ti abbia bittata giù, spero che con altri racconti ( sempre che avrai voglia di leggerli) succeda l’opposto.
          Io invece ci ho buttato apposta il finalecpessimistico. Tutti noi abbiamo reazioni diverse.
          E Milord ha avuto la sua. Tutte comprensibili. Io ti apprezzo perchè leggi sempre e puoi tranquillamente esprimere un’opinione!

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    1. Grazie Laura, anche le tue colombine erano fantastiche.
      La cosa bella di questo blog è che ciascuno riesce a condividere le sue attitudini e sono felice che il racconto, più che altro, sia riuscito a fare compagnìa per un po’ a voi che l’avete letto.
      Un salutone a te.

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    1. Ciao. Che piacere ritrovarti! Grazie. A te è piaciuto così. Le scelte erano due, un bivio. Ho scelto così per soddisfare me stessa in primis perchè in questo periodo mi andava così.
      A presto e grazie per la tua lettura.

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  4. Sei straordinaria Nadia!! Sai tendere la corda fino a spezzarla senza pietà. Non è il dolore fisico quello che annienta le vittime ma quello dell’ anima ostaggio di una malvagità lucida e senza freni. Brava! Brava! Brava !! Buonanotte Donato

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    1. Danilo, ti ringrazio davvero.
      Non per forza ricerco commenti del tutto positivi, come ti ho già spiegato cerco anche consigli, continui, a mia volta.
      Ma non ti nego che pensieri come il tuo mi servono anche per ricaricarmi e quindi…grazie! Ci ritroveremo in altre storie, da te o da me.
      A presto!

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  5. Lady Nadia
    (per un umilissima risposta a lady Marirò)

    Nel 1991 Enrico Deaglio scrisse “La banalità del bene” che era la storia dell’Ing. Giorgio Perlasca e che grazie a quel romanzo iniziò, il mondo occidentale ovviamente, a conoscere l’alto senso umano di questo figlio d’Italia che salvò, nell’umiltà più profonda, un bel po’ di ebrei salla persecuzione nazista.
    Il bene, come attesa di ogni evento letterario affabulatorio, diventa un finale scontato.
    Non tutto è bene, mia signora.
    Non sempre.
    Il bene scontato lo troviamo nei racconti per bambini, nelle favole o nei discorsi degli adulti che, buonisti, perdono di vista la realtà delle cose, nascondendosi e alcune volte mortificando la lunga e profonda ricerca – anche in un racconto da diporto – intrapresa nel raccontare la vita.
    Non saremmo noi a pontificare in casa d’altri, sulla bontà o sulle decisioni (che a parer nostro sono e rimangono insindacabili) della scrittrice Nadia.

    Non ne abbiamo né lo spessore, né la forza per suggerire e/o contrastare un finale, suggerendone uno meglio che un altro.
    Si scadrebbe nel vezzo malsano, tutto italiano, di criticare quello che non si capisce o che non si “afferra”. C’é stato qualcun altro che, durante il triste evento della seconda guerra mondiale, bruciava i libri decidendo – così – sia per me, sia per voi lady Marirò, cosa andava letto o cosa andava scritto.
    In ultimo, ma non certo per giustificarci, inserimmo come la banalità del bene nel finale, (altamente improbabile in questa storia Noir/Horror) l’avrebbe trasformata in una favolina, dimenticando e svilendo il dramma umano e affabulatorio di un lavoro decisamente notevole.
    In questo caso far terminare il racconto con la “classica risata” alla Fletcher (La signora in giallo: avete notato che di qualsiasi argomento, ad esempio omicidio e/o nequizie varie si tratti o si possa trattare, tutto termina – sempre – con una risata? Certo il messaggio per le scolaresche e i bambini che devono crescere e formarsi al bene è indiscutibile) sarebbe stato un insulto per chi ha seguito la storia.
    Qui c’é stata sofferenza e Climax Scriptorio notevole.
    Vorremmo ricordare a tal fine, due puntate fa per esempio, l’impegno nel trasporre in salsa noir quello che noi adulti (e almeno ci reputammo tali) abbiamo appreso dalla penna di HP Lovercraft.
    Non ci sentimmo di banalizzare con influssi del Volemose bene o del Noir de noantri asserendo che è un bene terminare in questo o in quel modo.
    Non giudicammo, né stabilimmo con critiche alla mano, se questo o quello va o non va bene.

    Il riferimento alla banalità del bene, in questo caso, tenne conto di una serie di fattori che, se seguiti e letti nella loro giusta prospettiva poteva terminare, semplicemente, con un Pari (morivano tutti e tutto finiva) oppure con un dispari (negativo) dove vince il male che si auto alimenta, institendo una nuova corrente con personaggi e soggetti.
    Eichmann diventa un personaggio così come Kruger in Nightmare, oppure il Dott.Hannibal Lecter ne’ ‘Il silenzio degli innocenti’.
    Se avessimo usato il vostro metro, mia signora, questi personaggi letterari che hanno fatto e fanno scuola, non sarebbero mai nati.
    E’ grazie alla letteratura verista-noir-horror, per esempio, di Saw (L’enigmista) che la penna di James Wan ci ha regalato il personaggio di Jigsaw il serial Killer.
    I due autori, (perdonateci lady Marirò, ma stiamo scrivendo a braccio e non ci ricordammo l’altro autore) crearono Jigsaw e ne fecero un Eichmann. Sì, è vero, finisce bene, … ma dopo otto (e sottolineammo otto) romanzi.
    Il genere letterario venne creato, proprio come lady Nadia, oggi, ha consegnato ai posteri questo racconto.

    Dunque, domanda che esula dal buonismo imperante e di maniera: perché-dopo aver letto e seguito il sequel Caos – dovremmo dire che sì, poteva finire meglio con giustizia, verità e tante belle cosine (come da morale fiabesca o insegnamento nelle scuole, ad uso e consumo degli alunni e degli insegnanti), senza mortificare l’autrice, il proprio impegno e la trama (volendo considerare di averla seguita e soprattutto compresa?)?
    Certe accezioni di pseudo scrittura creativa devastanti, non hanno senso.
    Di questo ne lasciammo la comoda ovatta e l’ottusità letteraria ad altri.
    Creativamente parlando, tesi, antitesi, svolgimento e fine sono stati rispettati in pieno, regalandoci una storia piena e in pieno stile e soprattutto coerente.
    La carica del Settimo cavalleggeri, sul modello arrivano i nostri, avrebbe ucciso tutti gli sforzi protratti e le vittorie stilistiche fin qui scelte e operate con sapienza.
    L’arroganza di decidere per altri su modi, finali, preferenze o quant’altro, lo lasciammo ai vari Soloni superficiali e alla loro ignoranza totale, ammantata di pseudo criticità stilistico/letteraria.
    Non c’é luce nell’uso dell’intelletto!

    Abbiate le nostre cordialità più sentite, perdonandoci per la crudezza e la veemenza.

    Lady Nadia è promossa!
    Lady Nadia siete entrata, a buona ragione, nel novero delle scrittrici.
    Dopo adesso nulla vi salverà

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    1. Lord Ninni,
      (Riprendo il Voi)
      Solo per rassicurarvi di aver letto questo vostro commento e di averlo compreso.Non ritengo di dover aggiungere altro a quanto detto sopra. Nessuna arroganza da parte mia di suggerire o cambiare finali o altro, solo un desiderio nato da un immediato.
      Abbiate i miei saluti cordiali e perdonate la leggera perplessità che in me ancora persiste per la vostra espressa veemenza.

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      1. Non devi scusarti Marirò, io penso di conoscerti un pochino. Mi spiace che caos ti abbia bittata giù, spero che con altri racconti ( sempre che avrai voglia di leggerli) succeda l’opposto.
        Io invece ci ho buttato apposta il finalecpessimistico. Tutti noi abbiamo reazioni diverse.
        E Milord ha avuto la sua. Tutte comprensibili. Io ti apprezzo perchè leggi sempre e puoi tranquillamente esprimere un’opinione!

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        1. Non mi stavo scusando, Nadia. Ho contestualizzato nel commento sparito (quello del “sospendo il Voi”) il mio commento di ieri sera. Ma non mi va di riscriverlo.
          Rinnovo, invece i complimenti per il tuo scritto, già espressi ieri, e ti auguro una lieta serata. A presto, ciao.

          Lord Ninni, ricambio le cordialità.

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    1. Ma…Laura ha postato una ricettina sfiziosa sfiziosina…
      Dopo questo finale, una pausetta? Giusto il tempo di gustarmi qualche buon dolcetto fatto in casa con olio di mais … ( un leggero sostituto del burro ohimè!😉)

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  6. Molto bello mia cara, che finale da brivido!! Nessun buonismo, nessuno sconto alla crudeltà umana! Notevole da parte tua non cedere alle lusinghe del lieto fine a tutti i costi.
    Sicuramente un racconto che si fa ricordare e rileggere con piacere.
    Brava davvero!!
    (perdona il ritardo, i tuoi ultimi articoli non mi sono apparsi nel reader!)

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