Ore 7.45. Una storia romantica.

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Sapeva che, alle 7,45, sarebbe sopraggiunto l’autobus e che le sue porte si sarebbero aperte puntuali, con il solito secco rilascio di aria compressa. Udiva dei passi lenti e delicati discendere uno per uno gli scalini d’acciaio, per poi posarsi sull’asfalto. La immaginava come una star alla quale è stata riservata un’entrata in scena da “red carpet”.
Ogni giorno ne carpiva i movimenti sinuosi che erano talvolta accompagnati da un ticchettio di tacchi, oppure da tocchi secchi, un po’ più attutiti e provocati da suole in gomma di scarpe sportive.
Lorena attraversava la strada per infilarsi furtiva nel piccolo caffè dell’angolo. Ne sospingeva la porta a vetri con naturale eleganza e questa emetteva un cigolio metallico.
Proprio come se si trattasse di un segnale, dopo quel rumore, Danilo si rialzava dalla panchina di legno inchiodata alla pensilina, e, inspirando a pieni polmoni la scia fruttata di un profumo familiare e miscelato a un aroma di caffè tostato proveniente dal bar, seguiva la donna fin dentro il locale.

Il barista, nonostante fosse spesso indaffarato, era sempre gentile con tutti: con chi andava, con chi veniva, con chi si fermava poco oppure a lungo, e, sempre, era ben disposto a intrattenere i suoi clienti scambiando con ciascuno quelle due chiacchiere di circostanza. Solo a volte, nel dar retta a tanti, forse troppi e contemporaneamente, poteva assumere per qualche istante un’espressione piuttosto distratta.
“Macchiato, grazie!”,“Mi passa il dolcificante, per favore?”,“Liscio e ristretto.”, “Hai ancora del latte?”,”Dino, la sai l’ultima?”.
Danilo frequentava quel locale da diversi anni, vi si recava una o più volte al giorno, ad esclusione della domenica.
Quel bar brulicava sempre di clienti: erano per lo più impiegati che preferivano restare in piedi, attorno al bancone, per consumare frettolosi la propria seconda colazione. Così, spesso, alcuni tavolini sistemati lungo il corridoio dei bagni rimanevano liberi anche quando il bar risultava gremito di gente.
Quella mattina, proprio come una qualsiasi altra, un caotico gruppetto di uomini discuteva di calcio, mentre due donne, vestite con abiti eleganti, consultavano al cellulare le previsioni meteo previste per il week-end. I discorsi di tutti erano proprio banali.
All’improvviso si udì una voce pacata, educata, a cui apparteneva una tonalità particolare, quasi una melodia, che si distingueva in quell’inutile e quasi fastidioso brusio: “Buongiorno, Dino. Il solito caffè d’orzo, per cortesia.”

Danilo non possedeva alcun impiego, e, a dir la verità, era disoccupato da tre anni.
Si accomodava quasi sempre al solito posto, occupando un piccolo tavolo tondo e disposto piuttosto in fondo, proprio accanto al muro dove soleva poggiare il suo bastone di ciliegio. Poi distendeva le gambe e si accingeva, per una sorta di abitudine, a massaggiarsi un po’ le ginocchia.
Dino, svelto, gli serviva al tavolo il consueto caffé. Danilo, piano, portava alla bocca la tazzina fumante. Ne assaporava a piccoli sorsi il contenuto, nel tentativo di voler rendere più duraturo quel magico istante. Percepiva il vapore caldo inumidirgli le labbra; il buon aroma del caffé si insinuava sempre più a fondo: prima solo sulla lingua, poi nella gola, e, infine, caldo, anche giù, nello stomaco. Il suo profumo gli penetrava con prepotenza nelle narici. Adorava quell’essenza fragrante e un po’ acre, ma, nel contempo, anche lievemente speziata.
E, per Danilo, quegli istanti erano forse i più lieti di ogni giornata.
Da quella distanza godeva della presenza della sua bella Lorena. Era capace di decifrarne persino il respiro. A volte poteva risultare regolare e quindi rilassato, ma talvolta, gli giungeva come un po’ affannoso, teso.
Valutando persino ogni tintinnio che proveniva dal tavolo al quale sedeva la donna, Danilo poteva stabilire se il suo animo fosse sereno oppure preoccupato.

Anche Lorena, come lui, sedeva quasi sempre allo stesso posto, accanto a un juke-box in disuso.
Lorena possedeva lunghi capelli castani che avvolgeva in continuazione sull’indice nel tentativo di districare un piccolo groviglio, oppure solo per accomodarli un po’.
Spesso, per vizio, giocherellava con la bustina di zucchero, ma, sempre, dopo aver vuotato tutto il contenuto nella tazza, la ripiegava più volte su se stessa riducendola a un misero rotolino.

Danilo, una volta consumato il caffé, restava per un po’ immobile, come in contemplazione, attendendo che Lorena riappoggiasse sul piatto la tazza vuota causando un impercettibile tintinnio di ceramiche, che, come un timer, avrebbe decretato il termine del loro incontro.
Lorena si rialzava con garbo e, prima di andarsene, riponeva sempre il piattino e la tazzina sull’angolo del bancone, curando che il cucchiaino rimanesse ben fermo al centro del piatto.
E poi il suo “grazie e buona giornata!”, rimbombava nel locale come un rumore assordante, o come un tuono impetuoso, oppure qualcosa del genere.
A modo suo, amava Lorena. Amava proprio tutto di lei, e persino quel carattere solitario, come quel suo modo di fare all’apparenza serio e un po’ introverso.

Sebbene Lorena conoscesse di vista quasi tutte le persone presenti nel bar, soleva tenersi in disparte. Difficilmente chiacchierava di qualcosa, o con qualcuno e nessuno osava mai disturbarla. Consumava quella colazione in rigoroso silenzio, come assorta in meditazione. Poi lasciava il bar, imboccando la via che l’avrebbe condotta in ufficio presso la prefettura e dal quale non sarebbe più riapparsa fino alle 17.
Danilo attendeva paziente quel seducente rumore di passi. Si sarebbe perso, ancora, e ancora, anche altre migliaia di volte, in quel ritmo ipnotizzante e sincopato. L’avrebbe seguita di nuovo fino alla fermata dell’autobus. Avrebbe poi odiato quella frenata e la fastidiosa compressione causata dall’apertura delle sue porte.

Dino era chino sulla lavastoviglie e reggeva uno strofinaccio. Un odore malamente profumato fuoriusciva con prepotenza dallo sportello aperto, e, caldo, li travolgeva entrambi.
Danilo aveva riappoggiato il suo bastone al bancone e si era seduto di sbieco su uno sgabello. Ordinò un altro caffè.
Percepì Dino trafficare: sbuffava e asciugava meccanicamente delle stoviglie.
Dino, poi, lanciò l’asciugamano appallottolato accanto al lavandino. Questo causò un tonfo lieve e secco. Dino si voltò alla macchina, ne smontò il filtro, lo ripulì con due colpi secchi dati sul lato della vaschetta che conteneva i fondi; vi calò della nuova miscela spingendo tre volte su una leva in acciaio e pressò tutto. Finalmente si udì il noto borbottio rantolante della lenta discesa del caffè.
Afferrò la tazzina per il manico e la lasciò scivolare, con fare nervoso, proprio davanti alle mani di Danilo.

“Di che colore era il suo abito di oggi?”
“Blu.”
“Chiaro, oppure scuro?”
“Scuro.”
“Indossava i pantaloni larghi, vero?”
“Sì, hai indovinato. I pantaloni erano larghi.”
“E la sua borsa? Era uno zainetto marrone?”
“Certo, marrone.”
“L’ho capito dal rumore della cerniera, quando ti ha pagato!”
“Bravo, sei un vero fenomeno!”
“Allora ciao, a domani.”
“Già. A domani.”.

Danilo si frugò in tasca e poggiò un Euro sul bancone. Impugnando il suo bastone, con l’immagine di Lorena nella mente e con la faccia di chi può vedere, lasciò il bar avviandosi verso casa mentre il sole si eclissava dietro i palazzi, all’orizzonte: lo baciava e lo colorava di fuoco.
Quella sera Danilo avrebbe assunto la solita dose di sonnifero: la notte, così, sarebbe trascorsa più in fretta.

LADY NADIA WORDPRESS.

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

32 pensieri riguardo “Ore 7.45. Una storia romantica.”

    1. Ecco, mi hai fatto l’analisi perfetta del racconto.
      Vero.
      Chissà, un giorno Lorena si accorgerà di lui?
      Oppure l’amore di Danilo non è amore ma è semplicemente ingigantito dalla solitudine e dall’insoddisfazione?
      E il tempo che sta ” sprecando” nella sua vita per inseguire un sogno ? Un giorno verrà ripagato?
      O si sentirà dire : ” non posso amarti, non sei il mio tipo” E magari verrà rifiutato solo perchè cieco?
      E se invece lui credesse di essere stato rifiutato perchè cieco ma in realtà venisse rifiutato perchè fallito per scelta? (e con fallito per scelta intendo una persona che si adagia nella sfortuna senza far nulla per venirne fuori?)
      E se ci vedesse? E fingesse invece di esser cieco per non affrontare la vita?
      Ah, quante infinite possibilità può avere un racconto troncato!
      Mi hai suscitato questa riflessione “in diretta” che ho voluto affrontare con te.
      Ciao! Grazie per la costanza!

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  1. Un giorno scrivemmo una sinestesia:
    “I miei colori sono quelli che ti posso raccontare, mentre tu li osservi muti e senza parole”.
    Era l’elegia di un cieco che, parlando con il nipotino, gli spiegava la bellezza delle sfumature, in tutto il loro complesso. Nello specifico, a una precisa richiesta, il nipotino diceva al nonno: “Si tratta, soltanto, del colore bianco. Magari un po’ sporco, ma sempre bianco..”.
    Ecco, dunque, l’importanza della sfumatura.
    Il bianco, colore àtono per ecellenza ( … è bianco, infatti, in quanto ha la caratteristica di rifiutare tutti i pigmenti), ha la forza di saper descrivere tutto … il bianco, appunto, attraverso le sue sfumature.
    Grazie a quelle.
    Il nostro Danilo esprime solitudine, ma con tanta voglia di comunicare attraverso le sfumature.
    Lorena, invece, della comunicazione ne è un vivente esempio. Un esempio che non lascia traccia, però; quasi una portatrice d’esistenza che si manifesta, soltanto, nello spazio di un caffé.
    Lorena rinasce nella dicotomia del quotidiano; rinasce negli sguardi spenti e resocontati di Danilo.
    Lorena si accorge pur vedendo?

    Lo stesso Danilo ci offre spunto di ricchezza: Vive i propri sogni (che si trasferiscono in interesse reale) appieno, nella propria vita, che si riversa attivamente nel mondo che lo circonda.
    Lo specchio illumina e ci offre l’immagine di Danilo, che portatore di un grave handicap, è però fortemente aggrappato alla vita quotidiana.
    Lorena (essa stessa potrebbe essere l’autrice del racconto, in un personale slancio analitico e liberatorio) ci parla.
    E ci parla di una vita non particolarmente interessante. Una vita fatta di tran tran e probabilmente colpita da un’antica, fortissima, sofferenza tanto che, anche un cieco si accorge di lei.
    Un cieco che non vedendone le fattezze fisiche, si accontenta di un racconto, sapendone però apprezzare la persona.
    Idealizzandola.

    Povera Lorena, nessuno la osserva meglio di Danilo che, con umiltà, la onora della propria quotidianità vista e raccontata.
    Ma potrebbe, anche, essere la rappresentazione plastica di una madre che osserva il suo bambino crescere.
    Sì, è vero, è troppo piccolo per comprendere la mamma, ma soprattutto per comprendere la donna. Per cui inizia a farsela raccontare; a osservarla.
    Una chiave di lettura molto suggestiva.
    Una chiave di lettura che, attraversando la consuetudine, ci parla dell’Autrice.
    C’é altro in tutto questo.
    La cecità, spesso, non è di chi non può vedere ma, pur potendolo fare, di chi non vuol vedere.

    Spesso, quel che tralasciamo dei nostri antichi ricordi rappresenta, invece, tutto il diario della propria vita.
    Molto spesso.
    Un po’ come Profumo di donna, nella versione del grande e indimenticato Vittorio Gassman.

    Cordialità

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  2. Interpretazioni e…sfumature di bianco, in un racconto sono nascoste ovunque.
    Ecco il fascino potente che suscitano a differenza di un romanzo, dove tutto (o quasi) è descritto a volte così meticolosamente da limitare la fantasia del lettore ai minimi dettagli, leggerlo come si guarda un film.
    Il racconto, proprio perchè breve, volutamente disossato e alleggerito, lascia spazi infiniti di libertà interpretativa.
    Ecco perchè io, personalmente, prediligo i racconti.
    Vero, sono meno impegnativi, ma è forse più difficile esprimerne la vera essenza, che spesso non è il nostro pensiero ma fungono da doppio specchio, sia per chi li legge, sia per chi li crea.
    Grazie.

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  3. Bello il racconto, mi ha ricordato autori che avevo letto parecchi anni fa, Moretti, Lisi. Atmosfere rarefatte e sospese, vite che accadono governate da un caso che può essere beffardo o clemente. E loro resistono ma non sovvertono. Brava, complimenti.

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