“Perdere il passato significa perdere il futuro.” (Wang Shu)
Il treno sobbalzava veloce sui binari. Alice tentò di rilassarsi socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal dondolio della carrozza ma l’inquietudine non la abbandonò. Rizzò il busto in avanti, all’improvviso. Fissò fuori dal finestrino. Il treno aveva lasciato la stazione gialla soltanto da qualche minuto ma aveva già ripreso la sua corsa veloce seguendo una curvatura dei binari.
Voltandosi avrebbe potuto notare le montagne allontanarsi, restare indietro, tuttavia, ciò non sarebbe accaduto con la sua malattia. Sebbene fosse stanca e ancora infreddolita, non riuscì ignorare la sua coscienza. Avrebbe desiderato far finta di niente, come sempre anche quella volta, rimanendo sul sedile di pelle logora, e un po’ strappata, senza dar peso all’accaduto restando così ad attendere soltanto passivamente di raggiungere la sua città. Ma stavolta fu diverso. Qualcosa di forte, una specie di curiosità o forse un senso di colpa, la scuoteva nel profondo. Si decise, doveva farlo: sarebbe scesa a Sondrio nonostante avesse acquistato un biglietto fino a casa, per Milano.
Si diresse all’uscita. Si affrancò a un sostegno metallico per evitare di perdere l’equilibrio mentre il treno, stridendo e sbuffando, si arrestò alla sua prima fermata, spalancando tutti i suoi portelli, con improvvisi e fastidiosi sibili ripetuti di aria compressa che la fecero sussultare più volte. Alice si lasciò precedere da un anziano curvo e stanco che lentamente, appoggiando una mano all’interno del vagone e prendendo cauto i gradini di sbieco, imprecò contro l’aria gelida che penetrava anche nella carrozza suscitando nuovi brividi e freschi ripensamenti. Una volta a terra affiancò il vecchietto e accelerò il passo per seguire, poi, a rispettosa distanza, due uomini molto eleganti che indossarono dei cappotti di lana. Uno di loro disegnava una maleodorante scia di fumo che, bianco, proveniva da una sigaretta, appena accesa.
Attese il taxi. “Via Mazzini, 14. Grazie.” Ordinò.
L’autista richiuse la portiera posteriore e si accomodò alla guida impostando la relativa tariffa e azzerando il contachilometri. La sua grossa e inquietante sagoma occupava quasi tutto l’abitacolo mentre l’auto scura svoltò a diversi incroci percorrendo strade anche poco trafficate, chiuse tra palazzine grigie modulari, tutte uguali e impiegando circa una ventina di minuti per raggiungere la destinazione.
All’indirizzo del post-it corrispondeva un hotel chiamato “White Lady” che, a giudicare dalla relativa insegna, offriva anche i servizi bar e gelateria. Alice pagò il compenso dovuto al tassista e si osservò attorno mentre la vettura scivolò con fretta dietro l’angolo lasciando la via. Quella era una zona abbastanza periferica della cittadina, alcune villette dal tetto appuntito e molto caratteristiche si succedevano una dopo l’altra, con i loro graziosi giardinetti curati e circondate da siepi, perfette, ma così tanto rinsecchite a causa del freddo da apparire quasi finte. E ora? Quei luoghi non le ricordavano nulla e non aveva la più pallida idea di cosa dover cercare. Nella sua mente regnava il vuoto più assoluto.
Come per istinto varcò la soglia dell’hotel. Le si aprì un localone chiaro e asettico, molto scialbo, nonostante, risultasse lucido e pulito. Un grande lampadario di cristallo sovrastava la hall e in fondo al salone spiccava un bancone grigio, probabilmente adibito a reception. Una piacevole sensazione di tepore la accolse immediatamente, rinfrancandola. Una giovane donna apparì dinanzi a lei. “Buongiorno e benvenuta! In cosa posso esserle utile?” Le domandò briosa, con voce accomodante e un tono sopra di un’ottava.
“Buongiorno a lei. Vorrei solo usufruire del bar.” Alice cercò di mostrarsi serena.
“ Certo! Venga la accompagno”. Cantilenò la donna mentre Alice, seguendola, non poté fare a meno di notare che calzava delle decolleté con tacco dieci, rosse fiammanti. In pratica le giungevano alla vista come un pugno nello stomaco, così malamente abbinate a un completo blu scuro. Quella sottile silhouette era strizzata da una giacca che evidenziava un vitino stretto, da vespa, è da una gonna a tubino, così tanto attillata, da impedire movimenti naturali, tuttavia, risultava strana ma estremamente sciolta e un uomo l’avrebbe senz’altro definita molto sensuale. Alice invidiò quella sicurezza che non avrebbe mai potuto appartenerle, sempre combattuta a dover ricordare, a lottare con la parte oscura che albergava in lei. Avrebbe desiderato possedere più autostima di sé anziché percepirsi così, fragile, senza fiducia e in totale balia dell’ignoto.
Giunsero in prossimità di un locale semivuoto, che dava l’idea di essere stato arredato alla bell’e meglio e che avrebbe dovuto simulare un bar. Alla parete era poggiata una struttura a mensole che sosteneva alcune bottiglie e preceduta da un corto bancone disordinato sul quale erano stati posti dei diversi bigliettini da visita, due cestini ricolmi di bustine di zucchero, una lattiera vuota, un paio di giornali e un salvadanaio in porcellana a forma di maiale e abbastanza ridicolo. Dei tavolini che ricordavano i banchi di scuola erano sistemati a semicerchio e tutt’intorno lasciando libera tutta l’area centrale della stanza. Al muro opposto appendeva una larga stampa in bianco e nero di New York.
“Attenda qui, le mando subito il barista!” Si sentì di rassicurarla la donna, forse notando l’evidente titubanza di alice. Si allontanò poi tacchettando e lasciando nell’aria una scia delicata ma persistente di un ottimo profumo di agrumi.
Era ovvio che il bar ambisse a servire soltanto gli ospiti dell’hotel e, se mai ce ne fossero stati, avrebbero senz’altro avuto di meglio da fare a quell’ora che, a ben vedere, riusciva ad essere persino sbagliata per una banale merenda.
“Oh buongiorno signora, ci rivediamo!” Esclamò un ragazzotto varcando la soglia e rimostrando una certa confidenza.
Alice si pietrificò muta con lo sguardo fisso a un grosso bottone cucito sulla sua divisa bianca.
“Signora, tutto bene?” Domandò preoccupato lui.
“… sì, abbastanza, mi scusi ma ho un po’ di mal di testa, a parte questo… sì.”
“Mi dica signora, cosa posso servirle?”
“… Una … una cioccolata calda per favore.”
Mentre il giovane le dava le spalle già alle prese con la caraffa del latte, non fu facile per Alice ragionare lucidamente e trovare il modo di indagare senza generare alcun equivoco. Quando il tizio ancora sorridente si voltò porgendole la tazza fumante, Alice azzardò: ” le dispiace se la bevo qui, al banco?”
“No, niente affatto signora. Può mettersi dove meglio crede!”
“Mi scusi… ma… lei si ricorda di me?”
“Certo. E’ stata qui stamane. E anche una decina di giorni fa. Ho un’ottima memoria visiva e inoltre, in questo periodo, non è che qui passi poi così tanta gente. L’ hotel è un po’ distante dal centro e ormai l’inverno volge al suo termine, può star certa che fino a Pasqua, qui, sarà un bel mortuorio!” E inclinò la bocca d’un lato, in segno di evidente rincrescimento.
Alice sforzò una battuta: “ E io, che pensavo di passare inosservata!”
“Ma signora, se posso permettermi… anche senza trucco o spettinata che sia, so ancora riconoscere una bella donna.”
Alice colse un certo sfavillio negli occhi del giovane che aveva cominciato ad ammiccarle senza mostrare alcuno scrupolo né tantomeno un briciolo di vergogna. Accingendosi a riordinare il banco in special modo attorno alla tazza di Alice proseguì persino, abbassando il tono della voce e rendendolo palesemente confidenziale:” stamane non ho avuto l’occasione di poterle fare dei complimenti… mi era sembrata un po’ nervosa. E non oso mai fare apprezzamenti alle donne davanti ad altre persone. E poi… il suo collega non l’ha lasciata sola, neanche per un istante. Come avrei potuto?”
Alice sbiancò. “Scusa… hai detto il mio collega?”
“Oh mi scusi! Forse ho frainteso, ma sa… l’ho pensato a causa delle poche parole che ho sentito. Cioè, voglio dire, da quel po’ che, senza volerlo, mi è giunto all’orecchio e ho dato tutto per scontato. Le chiedo venia signora!” Esclamò tutto d’un fiato il ragazzotto e le sue gote, in quel momento tradirono evidente vergogna, divenendo dello stesso colore di una bottiglia di rosé appoggiata sulla mensola, proprio accanto a lui.
“Figurati, non è un problema!” Alice si sforzò nel tranquillizzarlo nonostante avvertì rimontare forte l’ansia, da dentro. Fu colta da una vampata di calore e percepì le sue ascelle inumidirsi. Le mani cominciarono improvvisamente a tremare incontrollate e fu costretta a infilarle per qualche minuto nelle tasche del giaccone dove, suo malgrado, ritastò i biglietti del treno trovandosi travolta da una nuova ondata di impotenza.
Tutto era divenuto insopportabile, non sarebbe più stata in grado di ragionare lucidamente o di porre nessun’altra domanda, aveva esaurito ogni forza. Avrebbe ambito a farsi descrivere quel personaggio, ma come fare? Sarebbe stata disposta a pagare oro per riuscire a conoscere anche un solo particolare emerso dall’ipotetica conversazione alla quale il giovane aveva assistito o per sbaglio o intenzionalmente, non avrebbe avuto davvero nessuna importanza. Certo sarebbe tornata, un altro giorno, non troppo in là. Lo doveva a se stessa. Si ripromise di andare quanto più a fondo possibile in quella vicenda. Per quel giorno poteva bastare e inoltre, insistendo, aveva soltanto alimentato dei rischiosi sospetti.
Con lo stomaco chiuso a causa di un senso di nausea e in completa agitazione, cercò di terminare la sua cioccolata ancora bollente, a piccoli sorsi, scottandosi persino la lingua. Salutò gentilmente con un: “a presto caro, grazie di tutto!”
Allungò poi le monetine sul piattino posto a fianco della cassa e risalì su un taxi dove, assai sfinita e preoccupata, pensò che fosse finalmente giunto il momento di far ritorno alla sua confortevole dimora.
Durante il viaggio non riuscì a pensare ad altro. Dunque un uomo. E che discorsi avrebbero mai potuto sostenere? E l’avrebbe incontrato per caso? Non avrebbe avuto nessuna risposta, non avrebbe cavato un solo ragno dal buco. Doveva accontentarsi di ciò che aveva scoperto e farselo bastare, per ora. La notizia di quell’incontro l’aveva scossa quanto una lenta tortura. Il nulla giungeva sempre senza preavviso, si faceva largo, con forza e senza chiedere permesso. Ogni volta la violentava con foga, sorprendendola ovunque: sveglia, nel sonno, in casa o fuori e annientava tutta la sua persona fino a rubarle l’anima. Si percepiva poi sventrata e addirittura sviscerata e ancora peggio, soggiogata e beffata con l’oblio e ogni volta, della vera Alice restava meno e sempre meno, in un delirante e ripetitivo iter che non aveva fine.
Uffaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!
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Maria!!! Ah ah ah!😉 Pazienza! Pazienzaaaa! Grazieeeeeeee!😊😉😉😉
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Il mistero diventa più fitto come quello che appare a Alice.
C’è curiosità di conoscer cosa Alice fa durante i periodi di buio mentale.
a leggerti presto con la 4° puntata
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Il mistero sarà FITTISSIMO. E’ solo l’inizio. Grazie!😊
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mi procuro una torcia potente per fare luce.
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Quousque tandem abutere, Nadia, patientia nostra?
Vogliamo SUBITO il seguito 🙂
Capitolo davvero bello che prelude a…
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Amen. Grazie. 😉
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In fondo, è intrigante scoprire pian piano la verità…
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Grazie Dora, ciao. Ti faccio un grosso in bocca al lupo per il tuo bel libro che esce in questi giorni. Bravissima.
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Grazie Nadia 🙂
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Molto bello, complimenti, tanti bacioni amica cara, ❤
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Laura, ciao carissimissimissima!😙 grazie!
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Baci tesoro bello, ❤
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Ci appassiona la vicenda di Alice, costretta a vivere in un enigma continuo a causa della sua malattia. Simpatico scoprire come un barista un po’ impiccione possa divenire un appiglio a cui aggrapparsi piuttosto che un’intrusione molesta in una vita che scorre senza lasciar memoria.
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Già, e siamo solo all’inizio. Qui era intenzionale partire con leggerezza. Grazie e ciao.
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Comunque da lettore dico che acchiappa 😉
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Wow! Ciao e grazie Romeo.
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Forse stavolta Alice ha imboccato la strada giusta: indagare da sè per scoprire il suo lato buio. Immagino che non tutte le scoperte saranno a lei piacevoli.
Alla prossima puntata, cara Lady N. Buona serata, 🙂
Marirò
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Ti ho risposto giù. Ho sbagliato a cliccare!
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Pur soffrendo di episodi di amnesia, la tua Alice di cose ne fa e tante pure. Adesso spunta un uomo con il quale avrebbe avuto una lunga discussione, che però non ricorda; e pagherebbe oro per sapere che cosa si sono detti.
Come avevo già fatto notare nelle precedenti puntate di questo tuo racconto lungo – che potrebbe anche essere un romanzo breve se continui così – il paesaggio e la descrizione dei medesimi, i gesti che Alice fa, il suo comportamento, non sono un mero ornamento, sono invece funzionali in quanto determinano l’identità del personaggio cercando di metterlo a fuoco. Il paesaggio si inserisce nel personaggio e lo descrive, o perlomeno lo tratteggia.
Ben scritto. E’ migliorato e non poco il tuo stile.
Bene, insieme agli altri lettori rimango in attesa del seguito di questa amnesia sperando di non dimenticare le precedenti puntate. 😀
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Grazie mille per la tua presenza e lettura Beppe. Ho ricorretto alcune imperfezioni! Virgolette, UN VERBO… Hai ragione, più si riscrive e meglio è. Grazie mille.
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Tu dici? Vedremo se la saggia Marirò avrà ragione.😉 Grazieeee!
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Saggia io??? magari! 🙂
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Bonjour LADY
Viens je t’emmène dans un monde de rêves
Viens avec moi au pays de l’amitié
Ou seul ce petit monde est loi
Un monde de paix
Il se cache au fond de ton cœur
Dans un monde de merveilles
Qui brille la nuit à l’orée du ciel
Tu y trouveras des perles rares
Celle ou nous avons été ami ou amie pour la première fois
Quelle belle histoire entre nous
C’est ainsi que le verbe aimer existe
Je t’écris ces quelques mots avec tendresse
Je te les offre du fond du cœur
Je te souhaite soit une belle soirée soit une belle journée
Bisous Bernard
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Che piacevole lettura…un albergo, un uomo misterioso, un lato oscuro…chissà se sarà una scoperta piacevole quella di Alice…vabbè aspettiamo il seguito… 😉 Ciao Nadia!
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