AMNESIA 6.

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Passi echeggiano nella memoria, lungo il corridoio che mai prendemmo, verso la porta che mai aprimmo. (T.S. Eliot)

AMNESIA: LA CONFESSIONE.

Nonna Giulia la attendeva proprio dinanzi all’ascensore del terzo piano, nella penombra, con le mani sui fianchi, i gomiti ripiegati all’esterno e il viso proteso in avanti. Sotto uno chignon del tutto bianco si sgranavano due occhietti vispi e azzurri nascosti dietro a un paio di occhialoni neri, dalla montatura spessa, che sormontavano un viso minuto e ancora grazioso.
“Come mai a quest’ora? Non passi mai a trovarmi di sera e non mi hai telefonato oggi. Ti ho chiamato tutto il pomeriggio ma risultavi irraggiungibile. Mi hai fatto preoccupare! Ma cos’è quella faccia? Cosa ti è successo?” La nonna si avvicinò ad Alice, le scostò i capelli dal viso accennandole un caldo sorriso.
“Nonna, giornataccia. Non ti ho risposto perché non ho con me il telefonino, forse l’ho perso o potrei averlo dimenticato a casa. Ora ti spiego”.
“Un’altra amnesia vero? Dai, andiamo dentro!”
Nonna Giulia richiuse la porta d’entrata alle loro spalle mentre Alice, come era solita fare, si lasciò ricadere sulla sedia a dondolo di vimini che era posta accanto al divano.
“Hai cenato? Cara, vuoi qualcosa?”
“Grazie, solo un bicchiere d’acqua.”
“Sicura?”
Alice non rispose. Con lo sguardo fisso alle grosse mattonelle in cotto beige, che pavimentavano la stanza, seguitava a dondolarsi piano, cercando di trovare le parole più appropriate per narrare alla nonna tutto l’accaduto evitando di turbarla più del necessario. Le dispiaceva dover recarle un’ulteriore preoccupazione ma sentiva il bisogno di sfogarsi con qualcuno, il suo segreto stava diventando ogni giorno più grave e pesante e da sola non ce l’avrebbe mai fatta.
Giulia intanto aveva lasciato il salone per rintanarsi nel piccolo cucinino dal quale giunse un rumoreggiare di credenze e di vetri. Riapparse con un vassoio sul quale era stato riposto un bicchiere ricolmo di acqua, alcuni cioccolatini e qualche biscotto.
“Grazie nonnina!”, esclamò Alice, afferrando il vassoio e cercando di esibire uno stralcio di sorriso.
La nonna trascinò una sedia ponendola proprio davanti alla ragazza e vi si accomodò.
“Dimmi cosa succede.”
“Succede che… nonna, ho scoperto che frequento un uomo durante le mie amnesie.”
“Cosa? E dovrebbe dispiacermi?”, la nonna sogghignò quasi soddisfatta e aggiungendo:” cara, sarei stata più contenta se questo fosse avvenuto coscientemente ma… non è poi una notizia così pessima, no?”
“Non è questo il punto. Sono inquieta, è una sensazione, un presentimento. Ho preso un treno, mi sono ritrovata a Tirano e tramite alcuni biglietti che ho ritrovato in tasca ho scoperto di aver compiuto una sosta di due ore, a Sondrio, dove mi sarei persino incontrata con quell’uomo e sai, secondo il barista di un locale, non è la prima volta che accade . Lui era abbastanza sicuro che ci frequentassimo già da tempo.
“ Respira Alice, calmati! Sei molto stressata e giudicando dal tuo viso anche molto stanca. Quello che mi riferisci è davvero singolare. Mi stai dicendo che durante ogni tua perdita di memoria saresti in grado di decidere dove recarti, chi incontrare e tutto il resto?”
“Or come ora, è ciò di cui son convinta.”
Alice percepì il suo stomaco contrarsi come fosse compresso da una morsa.
“Tutto si complica!”, denunciò la nonna soltanto dopo aver emesso qualche lento sospiro.
“Già!”, rispose ormai sfinita Alice.
“Hai detto Sondrio? Fammi pensare. Cosa diamine ti avrebbe condotto fin là? Io ho sempre pensato che durante le tue crisi vagassi a casaccio, senza una meta e senza motivazione. Ora dovrò ricredermi.”
Tra le due donne calò un’imbarazzante silenzio dentro al quale ognuna delle due si concesse una propria riflessione.
Poi, per prima, la nonna riaffrontò il discorso: “Forse è meglio che per un po’ mi trasferisca da te, potrei esserti d’aiuto, potrei monitorare le tue uscite e, come già accadde in passato, potrei controllare e poi riferire i tuoi comportamenti nel corso delle amnesie.
“Nonnina… hai sempre fatto tanto per me, troppo. Non mi va di chiederti anche questo.”
“Non mi hai chiesto proprio nulla. Sono stata io a proporlo. Cosa ne pensi? Non ti infastidirò, sarò solo una presenza vigile, utile e sulla quale potrai fare affidamento. Forse solo per qualche mese, insomma per il tempo che occorre, fino a che non riusciremo a venirne a capo.”
“Nonnina, non pensare neanche per un attimo di recarmi disturbo, anzi, sai cosa ti dico? Ne sarei felicissima. Ho ormai perso tutto il coraggio necessario per affrontare tutti questi problemi e non ho proprio voglia di stare sola. In questo periodo della mia vita ho di nuovo bisogno di te, di qualcuno che mi rincuori, che mi dia forza e supporto e che mi tranquillizzi. Te ne sarei grata. Certo che per te sarà un bell’impegno, dovrai lasciare per un po’ il tuo comodo appartamento. Sei sicura? Non sei più una ragazzina, insomma, potresti stancarti troppo…”.
“Piccola cara, non solo ne sono convinta, ne sarei proprio felice. Non ho più nessuno di caro a questo mondo e aiutarti è ormai l’unico scopo della mia vita.”
“Nonna ti voglio tanto bene!”, esclamò Alice, balzando in piedi dalla sedia che continuò a dondolare, per inerzia e scricchiolando e cinse in uno stretto abbraccio la sua nonna. Con una mano Giulia le accarezzò più volte la schiena incontrando i suoi morbidi e lunghi capelli, li lisciò più volte con il palmo della mano e infine, d’istinto, risalì sulla nuca, percependo di nuovo quella maledetta cicatrice. Notò che ormai risultava raggrinzita, in alcuni punti si era quasi riassorbita, tuttavia era possibile tastare ancora quel lungo sfregio nella sua interezza. Ogni volta che Giulia lo percepiva così, ergersi rigido sotto ai suoi polpastrelli, rimontava in lei una forte rabbia troppo prepotente. Anziché placarsi, al contrario di ciò che avrebbe sempre sperato, col passare del tempo quel rancore si era addirittura ingigantito a dismisura e, peggio, si era tramutato in vero odio. E come se ciò non bastasse, insieme all’ira tornava sempre l’immagine del corpo nudo di Alice, irrimediabilmente deturpato anche altrove, lungo il fianco, da un’altra testimonianza indelebile, quasi un simbolo. Un orribile marchio comparso alla nascita, un segno perenne di sofferenza e di mancanza che rendeva speciale la sua nipotina ma che, nel contempo, la condannava come in una dannata maledizione a dover portare per tutta la vita quel pesante fardello per il quale avrebbe dovuto riscattarsi ogni giorno e che le avrebbe reso quasi inaccessibile ogni sorta di felicità e le avrebbe negato persino la più vaga spensieratezza.
Giulia ritirò rapidamente la mano. “Il mio bagaglio sarà pronto domani, per mezzogiorno”, dichiarò secca. E cercando di addolcire il tono della voce aggiunse: ”Fortunatamente abitiamo caseggiati vicini, se mi scorderò di qualcosa non sarà certo un problema. Ti aspetterò a quell’ora.”
Alice socchiuse gli occhi cercando di trattenere delle lacrime che rappresentavano insieme commozione e tristezza. Nonna Giulia non sarebbe certo vissuta per sempre. E poi? Come se la sarebbe cavata senza di lei?

AMNESIA: IL PRANZO DI LAVORO.

Mauro si sollevò dalla sedia girevole della sua scrivania. Servendosi del palmo della mano si spolverò il suo completo grigio scuro nonostante non vi apparisse la benché minima traccia di polvere. L’ufficio era lucido come una pista di bowling e nell’aria aleggiava, impregnato ovunque e persino nei cassetti, un profumo ormai stantio di detergente alla lavanda. Si accostò alla finestra incorniciata da stipiti chiari e affacciata alla zona periferica e industriale della cittadina. I campi verdi erano di continuo violentati da modulari edifici squadrati e spigolosi di cemento, per lo più solo grigi e del tutto grezzi. Si rimirò nel riflesso dei vetri, che irradiati dal sole già perpendicolare di quel mezzogiorno, gli regalavano una doppia e distorta immagine di sé.
Si risistemò nervosamente il lungo ciuffo di capelli senza omettere di abbozzare qualche smorfia del tutto patetica. L’incontro con l’organizzatore della fiera si era risolto nel migliore dei modi e al di sopra di ogni aspettativa. Con orgoglio poteva dunque ritenersi archiviato. Un vero peccato che il rendiconto economico dell’attività non attraversasse il suo periodo migliore ma senz’altro aveva ragione Sandrino, avrebbe dovuto soltanto pazientare ed entro un breve periodo tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Dopotutto Il lavoro che, giorno dopo giorno, gli era commissionato, non era per nulla calato, anzi, al contrario, pareva in continuo incremento.
Con la mano sinistra Mauro diede una rapida sistemata ai tanti carteggi di cui si era occupato durante la mattinata e con l’altra pigiò il tastino del telefono interno, dichiarando con un tono austero: “Emma, esco per pranzo e non voglio essere disturbato. Sarò di ritorno alle 15.”
“D’accordo, non si preoccupi, sarà fatto. Buon appetito!”, Rispose la segretaria, dall’altra parte mentre in un eco la sua voce risuonava in perfetta stereofonia appena fuori dalla porta chiusa.
Senza infilarne le maniche adagiò soltanto il montgomery sulle spalle, come fosse un mantello, dirigendosi presto fuori dal caseggiato e senza degnare di uno sguardo nessuno, persino senza salutare, con passo deciso, lo sguardo alle scarpe nuove e parecchia fame.

Mauro varcò l’uscio del locale individuando subito Sandrino che lo attendeva al solito tavolo proprio dinanzi al bancone del self-service. Quell’esercizio era collocato al centro della piazza principale di Sondrio, un posticino discreto e in quella stagione poco frequentato. I turisti, dopo l’assalto invernale, avrebbero invaso la cittadina solo per qualche giorno prima di Pasqua e in seguito più a lungo con l’arrivo dell’estate. Gli ultimi mesi dell’inverno, ancora freddi, rendevano Sondrio silenziosa, quasi abbandonata a sé stessa, più intima, sebbene un po’ di traffico nelle ore di punta non si facesse certo desiderare nemmeno in quel banale lunedì. E proprio a causa di questo Mauro aveva faticato come sempre nel trovare un parcheggio vicino e se ne lamentò con Sandrino.
“Mai una volta che lo trovo qui davanti! Neanche fossimo a Milano.”
“Ah, ah, ah, guarda dove è la mia!” Sandrino indicò con l’indice teso la sua auto, un Suv rosso, ben visibile oltre la larga vetrata del locale, ovviamente e come sempre parcheggiato a pochi passi di distanza, appena al di là delle strisce pedonali.
“Il solito fortunato!”
“Già. A proposito, ti volevo chiedere se ti va di accompagnarmi al casinò.
“Quando? Dove?”
“Campione! Domani sera.”
“Non sarebbe meglio evitare di sprecare danaro Sandrino? Proprio in questo periodo… e poi, e poi lo sai che mi faccio prendere. Il gioco mi prende, l’alcol mi prende, le donne mi prendono… ormai dovresti sapere come sono io. No?”
“Certo. E tu sai come sono io. Se dovessimo perdere oltre lo stabilito sarei il primo a convincerti di lasciare il tavolo. Ti fidi di me, o no? Suvvia, ci divertiremo, e chissà mai… per una volta potremmo anche vincere una bella sommetta che magari ci possa permettere di saldare qualche noioso debituccio. Ascolta il tuo saggio amico! Dai, andiamoci! Così, tanto per svagarci un po’.”
E Sandrino sorrise rilasciando un buffetto sulla spalla di Mauro.
Mauro si riservò di rifletterci su. Aveva ripreso a bere, a pieno ritmo. Per fortuna limitandosi più che altro alla sera, ma sapeva bene quanta fatica era servita per smettere, anni prima. E aveva già dovuto rimangiarsi quella promessa che fece a se stesso prima che a Mirella.
Rimase quindi in silenzio per qualche istante e poi, mutando espressione e con un tono di voce risoluto e nell’intento di cambiare argomento si rivolse all’amico: ” Riferiscimi dei tuoi incontri di stamattina. Come sono andati?”
“Direi bene, anzi, per la verità benissimo. Ho preso un altro appuntamento con la banca, dovremo poi andarci insieme, settimana prossima”, rispose essenziale Sandrino, sollevandosi dalla sedia con l’ovvia intenzione di dirigersi al buffet.
Mauro lo seguì, cambiando registro: “Non vedo l’ora di stasera. Ho proprio bisogno di un po’ di sano sesso. Sono parecchio stressato. Non sopporto più Mirella e in quella casa mi manca l’aria. Se riuscissi a fare un po’ di soldi scapperei subito a vivere in Brasile, altro che…”
Mentre i due scivolavano lungo il bancone che conteneva le più svariate pietanze, reggendo tra le mani i piatti ancora vuoti e tiepidi e appena prelevati da una pila assai pericolante poggiata ad una specie di credenza con le rotelle, Sandrino domandò: “E come va con quel portento di Natasha?”
“Sandro, che domande mi fai? Ovviamente bene. Mi svago con lei, mi diverto. A letto è una bomba, la adoro. E’ fantastica. Trascorriamo le migliori serate, sesso alcol e rock and roll. A volte usciamo e gironzoliamo per locali tutta la notte, adoro quando la gente ci osserva, è così disinibita… per la verità attira su di noi fin troppi sguardi. Spero che prima o poi questa storia non possa giungere alle orecchie di Mirella. Non ora. Sarebbe la fine. Kaputt. The end. La fine di tutti i giochi e non solo di quelli.”
“Ah, ah, ah, ma figurati. Mirella? Riservata e solitaria com’è… non da confidenza a nessuno, neanche a te a momenti, e da chi mai potrebbe venirlo a sapere?
“Ogni tanto ci penso Sandro, nella vita non si sa mai.”
“Hai decisamente bisogno di svago. Allora si fa domani sera, a Campione!”
“A che ora?”
“Alle 21?”
“Va bene. Ti aspetterò in ufficio, meglio fingere di lavorare. Non passerò neanche da casa con la scusa di aver perso già del tempo. Domani pomeriggio ho promesso di accompagnare Daniele all’esame della patente. ”
“Ok, ci troveremo lì. Ha già compiuto 18 anni? Gliene davo meno, in questo assomiglia al padre.”
Mauro gongolò per via di quella affermazione. Si sistemò di nuovo il suo bel ciuffo e si osservò intorno.
Soltanto qualche altro lavoratore in pausa e intento a consumare il suo pranzo, la consueta cameriera robusta, due anziane che masticavano faticosamente con le loro dentiere. Nulla degno di nota.
Tornarono al tavolo e consumarono il loro pranzo continuando a chiacchierare spensierati del più e del meno.
Seguì un altro comune pomeriggio di lavoro, più lento del solito e finalmente giunse anche la sera.

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

21 pensieri riguardo “AMNESIA 6.”

  1. Bene, abbiamo finalmente definito, anzi maggiormente definito il rapporto fra la protagonista e la nonna, che qui appare , in tutto e per tutto, più come una madre, un faro a cui guardare e a cui rivolgersi nei momenti di maggior difficoltà. La protagonista non può fare a meno della sua “nonnina”, perché senza di lei, senza il suo aiuto, le sue amnesie sarebbero bagaglio da sopportare davvero troppo grave. E non da ultimo scopriamo che la protagonista sospetta di intrattenere una relazione d’amore con un uomo, di cui però non è sicura.
    E vengono meglio esposti i ruoli di Mauro e di Sandrino, che qui, nei ruoli che gli sono stati imposti, sono personaggi tanto ambigui quanto feroci, ma, nell’intimo, pirandelliani, vittime di sé stessi perché in cerca di una identità che sempre gli sfugge nonostante l’ostentata virilità. Mauro è non poco vanesio: questo si era già capito nei precedenti capitoli.

    Molto bene. Non ci resta dunque altro che aspettare per capire questa amnesia a chi o a cosa condurrà.

    Brava, Nadia: sai tratteggiare bene le passioni che animano i personaggi e i loro dissidi interni, conferendogli credibilità realistica, che è fondamentale per ogni racconto che si rispetti, anche quando esso frutto della sola fantasia.

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  2. dunque alice ha un segreto che nonna Giulia ha svelato Delle cicatrici sul corpo che possono spiegare le sue amnesie. Sarà così?
    Mauro tesse la tela e Sandrino ne rimane avvolto.
    Piacevole e fluido si legge bene.
    Aspettiamo il sette

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  3. Ho apprezzato molto la stesura dei dialoghi, convincenti perché scritti con il giusto intercalare che, secondo me, risulta sempre fondamentale, altrimenti sarebbe teatro e non prosa. Inoltre, pur seguendone in qualche modo la scia, non cadi nel classico errore di Stephen King (lo cito, perché già parlai di lui) ossia fai parlare i personaggi in maniera credibile e non come se stessero leggendo un copione. Il racconto procede benissimo, suscitando, come è giusto, sempre nuovi interrogativi, e le due storie – qui parallele – scorrono fluide entrambe.
    Muy bien!

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    1. Arrivo oggi, e sarei comunque arrivata oggi. Mi scuso se ho dato qualche errata impressione ma GIURO! Ho più che altro lavorato e lavorato sodo fino a ieri. Dunque eccomi qui, grazie per avermelo fatto notare, so che lo fai a fin di bene. P.S. Ti ho telefonato ma non mi hai risposto. Ciaooooo😉

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  4. In ritardo, ma sempre gradevole leggerti.
    Bello che Alice abbia una confidente così speciale come la nonna, ora detective. Apri a una novità: le cicatrici. Ora il lettore vuol sapere… 😉
    I due uomini…tanto virili e viziosi quanto immaturi e fragili: “Ah, se lo sapesse Mirella: kaputt!”
    Domani leggerò il seguito.
    Buona cena,
    Marirò

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    1. Grazie per la tua attenta lettura, scusa ma come te, anch’io sto avanzando poco tempo, tra famiglia, lavoro, impegni, casa… mi resta giusto poco più qualche ora per studiare e scrivere. Ma passerò. Credo che non abbia poi tantissimo da recuperare, la scuola ti consumerà fino all’osso con i tuoi studenti tremendelli… ah ah ah. Io non so come fanno gli insegnanti, occorre un sacco di pazienza… Ciao Marirò. Grazie!

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