AMNESIA 7.

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Remiamo barche controcorrente risospinti senza sosta nel passato. “F.S.Fitzgerald”

AMNESIA: MAURO.

Quando giaceva così, con la pelle nuda che strisciava sopra dell’altra pelle nuda, si percepiva vivo, desiderato, coccolato. Il suo non era amore, ma bisogno. Bisogno di ritrovare un “se stesso”, da troppo tempo dimenticato e trattenuto, era bisogno di sfuggire dalla solita noia che sempre, tra i muri di casa, lo attanagliava senza tregua e ben stretto alla gola. Mauro era conscio di non sapere amare davvero. Prese la decisione di sposare Mirella solo perché, in quel momento difficile della sua vita, si era dimostrata un valido appoggio; aveva saputo infondergli il necessario conforto, e Mauro, in quello stato d’animo, si era illuso di provare del vero amore nei suoi confronti. In realtà si era dovuto sforzare per ignorare il suo innato egoismo, il suo noto narcisismo e quella sua spiccata necessità di emozioni forti, di novità. Aveva sbagliato e sbagliato di grosso, ma la sicurezza economica che Mirella avrebbe potuto garantirgli, quel tetto lussuoso e confortevole e la possibilità di accontentare ogni suo capriccio, lo trattenevano tutt’ora saldamente ancorato a quella situazione. Non aveva scelta, non gli pareva potesse esistere nessun’altra soluzione altrettanto conveniente o nessun’altra mossa astuta da fare. Non gli rimaneva proprio nulla, nessuna alternativa.

Natasha ondeggiava sopra di lui mordendosi il labbro inferiore, gemendo e ansimando nella camera di un lussuoso agriturismo in un borgo collocato a pochi chilometri da Sondrio e abilmente incastonato nel verde della campagna, adiacente alle montagne ancora innevate.
Mauro, già brillo e un po’ intontito ma su di giri, tratteneva le sue mani sopra i suoi fianchi sottili e con gli occhi ben aperti era come ipnotizzato dal seno di Natasha che sussultava pieno, in un moto quasi circolare. Si lasciava cavalcare con il suo tipico, ritmato entusiasmo. Si crogiolava là sotto, desiderato, preteso, anelato.
Natasha adorava l’esibizione. Sapeva di essere bella, di possedere un corpo perfetto e questo suo aspetto caratteriale, questa sua sicurezza, estasiava Mauro.
Mirella, al contrario, si era sempre dimostrata pudica, silenziosa, arrendevole. I loro incontri amorosi si erano presto diradati fino a divenire un obbligo settimanale, poi addirittura mensile. Mauro doveva fingere, non si percepiva minimamente coinvolto e, con tutta probabilità, la stessa sensazione era avvertita anche da Mirella, che al sesso, ormai, pareva non dare più alcuna importanza. Mauro doveva svolgere quel faticoso compito, il suo dovere sessuale e coniugale “da copione”, soltanto per assicurarsi una sorta di credibilità e poter così evitare il sorgere di ogni possibile sospetto da parte di Mirella, che, peraltro, non dava l’impressione di poterlo tradire, e pareva essere divenuta piuttosto frigida.

“Ti piace?”, sussurrò giocosa Natasha, arrestandosi per qualche secondo e cingendo il mento di Mauro nel palmo della mano per tentare di sollevargli il viso, in cerca di uno sguardo.
Mauro, obbligato, la osservò in silenzio. Certo, gli piaceva. Chiunque avrebbe goduto nell’essere posseduto in maniera così esperta da una tale bella donna, ancora piuttosto giovane e dotata di tanta esperienza.
I capelli lunghi e biondi di Natasha le ricadevano sciolti sui capezzoli grandi e rosei, gli zigomi marcati incorniciavano un viso sottile, fine e ben fatto e sulle labbra carnose erano rimaste rare scie ormai consumate di un rossetto rosso abilmente abbinato allo smalto lucido che le ricopriva le unghie.
Natasha, discendendo piano dal mento, trascinò l’indice lungo tutto il busto nudo di Mauro, prima soffermandosi attorno all’ombelico e poi, giocando tra i suoi peli, scendendo più giù e appoggiando la sua bocca proprio lì.
Lo sentiva contrarsi sotto di lei e tendere le gambe mentre i suoi gesti venivano accompagnati dal suo respiro sincopato.
Appena si risollevò, domandò di nuovo e con un tono di voce roco e più forte: ” Mauro, ti è piaciuto?”
Mauro le afferrò per le spalle, avvicinandola a sé e baciandola con fervore e passione.
Natasha riprese poi a cavalcarlo con foga, molto veloce e a fondo, finché Mauro non fu invaso da un’ondata di calore: percepì tutta la beatitudine del suo membro, che pareva dover scoppiare e che gli pulsava feroce.
Quando l’amplesso fu esaurito, Natasha gli si distese accanto e, allungando una mano sul vicino comodino, afferrò il suo telefono.
“Tesoro, lo sai che non ho nemmeno una nostra foto?”, si lamentò, mugugnando, capricciosa, con il caratteristico e marcato accento russo che le conferiva un fascino del tutto particolare.
“No, niente foto per favore.”, rispose un po’ seccato Mauro.
“Dai, soltanto una, sai… per quando mi manchi.”, supplicò Natasha morsicandogli il lobo dell’orecchio.
Mauro sospirò e si accomodò i capelli con il solito gesto ossessivo e, osservando il piccolo schermo dello Smartphone che Natasha aveva prontamente sollevato a mezz’aria, abbozzò uno dei suoi migliori sorrisi. Natasha si avvicinò al suo volto, in un “guancia a guancia”, e catturò rapida quell’attimo memorabile attraverso un paio di scatti.
Scivolò quindi fuori dalle coperte dove fu assalita dall’aria particolarmente fresca della camera, percependo addosso a sé lo sguardo di Mauro, che non si scollava dal suo corpo tonico che serpeggiava per tutta la stanza. Si diresse ad un vicino tavolino sul quale, accanto ai rispettivi bicchieri, giacevano un’ottima bottiglia di Ferrari e una di whisky. Natasha versò sorridente gli alcolici, con stile ed eleganza e impartì un brindisi a Mauro, che, nel frattempo, si era seduto sul letto con la schiena poggiata alla gelida testata in ferro battuto.
“Brindiamo!”, esclamò lei, con allegria, visibilmente soddisfatta.
“A noi.”, rispose un po’ titubante e sotto tono Mauro, trangugiando tutto d’un sorso quel liquido denso, dorato e reso scintillante dalla plafoniera appesa al centro della stanza.
Continuando a chiacchierare simpaticamente, facendo la spola tra il letto e il tavolino, Natasha riuscì a vuotare presto ambedue le bottiglie mentre Mauro rideva sguaiato e ostentava battute ormai senza senso.

AMNESIA: A CASA DI ALICE.

Nonna Giulia era alle prese con il suo bagaglio. Aveva occupato la stanza degli ospiti ed era impegnata a sistemare la sua biancheria, che, sempre profumava di buono, in un cassettone semivuoto della credenza.
Alice la osservava in piedi, sulla porta. Pensò a tutto il bene che provava per quella donnina, così esile e grintosa ma, nel contempo, decisa e forte.
“Alice cara, cosa c’è da guardare?”
“No, niente nonna. Pensavo di prepararti un thè.”
“Volentieri cara! Ti ringrazio.”
Alice si diresse in cucina e nel cercare ovunque la seconda tazza da thè, si rese conto che la sua casa parlasse ormai di solitudine, d’altronde come tutta la sua vita.
Un isolamento voluto e di certo consolidato, dato che quella benedetta tazzina non volle apparire da nessuna parte. Così Alice ripensò al servizio per gli ospiti che mai aveva usato e che, con tutta probabilità, ancora giaceva nel grande armadio del salone più o meno dal giorno del trasloco, anni prima. Una volta aperta l’anta del mobile, notò che ogni cosa era stata ricoperta da un alto e spaventoso strato di polvere. Vi ritrovò alcune ceramiche e altri oggetti totalmente inutili o dei quali ne aveva dimenticato addirittura l’esistenza. Ecco finalmente le tazze! Erano sei, messe tutte in fila ad esibire la stampa ancora lucida di una rosa rossa. Mentre Alice tentò di afferrare uno di quei manici sottili e ricurvi, restò di stucco, con il braccio sospeso a mezz’aria e gli occhi sgranati, senza respiro.
Uno Smartphone, mai visto prima, era stato riposto dentro una di esse e, a ben guardare, sul ripiano assai impolverato, si potevano notare delle impronte digitali che erano rimaste impresse lievi su quella superficie.
Alice si pietrificò. Per tutta la mattinata aveva cercato il suo telefono ovunque, per tutta la casa e senza alcun risultato, e ora, dal nulla, ecco apparirne un altro nuovo, anzi, addirittura dava l’impressione di essere l’ultimo modello disponibile sul mercato.
Alice restò immobile per qualche minuto cercando di esaminare quelle impronte. Purtroppo non erano per nulla marcate ed erano già state ricoperte e offuscate da uno strato appena velato di nuova polvere.
Prima di trovare tutto il coraggio necessario nell’appropriarsi di quell’aggeggio, la assalirono mille domande alle quali, suo malgrado, non riuscì a dare nessuna risposta. Tuttavia una brutta sensazione, nulla di più, le fece realizzare che quel telefono avrebbe anche potuto in qualche modo appartenerle.
Le sue mani furono colte da un forte tremito mentre lo afferrò insicura e, ancora titubante, tentò di pigiarne il tasto di accensione.
Un Samsung. Non era scarico, tuttavia il cavo USB necessario avrebbe potuto essere compatibile con il suo.
L’ansia la assalì insieme all’agitazione. Forse in rubrica avrebbe trovato quel nome, il nome di quell’uomo. O magari dei messaggi, oppure chissà cos’altro.
Lo schermo, illuminandosi, smise di riflettere il suo volto impaurito.
Alice, con un lungo sospiro, racimolò tutto il coraggio necessario per proseguire in quell’ardua impresa, ma, con suo grande disappunto, fu bloccata da una richiesta del codice d’accesso. Effettuò tutti i possibili tentativi.
La password di quel telefono non le apparteneva e le risultava impossibile trovarla, così, su due piedi.
Si sarebbe potuta rivolgere a un centro specializzato che avrebbe potuto risolvere l’inconveniente, ma a suo rischio e pericolo. Meglio rifletterci su, con calma.
Alice voltò e rigirò quel telefono, lo osservò minuziosamente e in controluce, lo annusò persino.
Nulla, nessun indizio, nessuna traccia, nessun odore.
Ogni più strano pensiero si avvicendò nella sua mente, occupandola e causandole una forte agitazione.

“Alice, Alice! E’ pronto il thè? Vengo di là?”
“Un minuto nonna, scusa. Finisci pure! Ti avviso io.”
Alice riappoggiò il misterioso telefonino su una mensola affrancata abbastanza in alto sulla parete del soggiorno, afferrò dunque la grossa tazza dal mobile e tornò in cucina con gli occhi pieni di lacrime.
“Chi sono io? Chi sono?”, si domandò affranta con lo sguardo offuscato, vuoto e perso nell’acqua fumante che andava progressivamente agitandosi nel bollitore.

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

24 pensieri riguardo “AMNESIA 7.”

  1. Mauro fa all’amore perché si sente dimenticato, bella quest’altro tipo di amnesia. In crescendo i capitoli diventano sempre più avvincenti e meglio scritti. Alice e Natasha come il Dott. Jekil e Mister Hide, mi permetto di anticipare. Hai preso una buona velocità di crociera, il viaggio continua poderoso. 🙂

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  2. due gran bei pezzi. Una storia in parallelo. Mauro è finito nelle grinfie di Natasha e forse non sa cosa gli spetta. Quel selfie puzza tanto di ricatto.
    Alice è alle prese col suo passato oppure presente e non conosce quale sarà il suo futuro.
    Ricco di suspense è la parte di Alice, che hai creato con molta bravura

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  3. Nonostante sia uno che, più o meno, dopo le prime pagine di un libro riesce a intuire, con una certa esattezza, quale potrebbe essere lo sviluppo della storia e la sua conclusione, devo qui ammettere che con Amnesia non ci sono riuscito, non ancora perlomeno, per cui non mi resta che attendere e leggere le successive puntate per scoprire come questa storia si concluderà.
    Noto però che qui, in questa puntata, Nadia hai dato sfogo a un po’ tanto di quelle sfumature erotiche che, a mio avviso, non guastano mai per conferire pathos alla storia.
    Alice continua a dimenticare. E chi è questa Natasha? Che cosa vuole realmente da Mauro?
    Domande, domande, domande… che attendono una risposta. Comincio però a sospettare che Alice, nelle sue crisi di amnesia, possa vivere un’altra vita di cui, ovviamente, non ricorda niente, o anche più di una vita, perché no?
    Brava Nadia, sai tenere sul filo del rasoio il lettore fino all’ultimo.

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    1. Ma grazie, la storia è già ben chiara e stilata a mo’ di geroglifico su un mio quadernetto che è ormai quasi pieno. Siamo a buon punto! Spero di farcela a concludere nel migliore dei modi ma… rigorosamente piano piano. Ciao Beppe e grazie.
      Un caro saluto.

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  4. letto e approvato 😀
    scherzo, no, non scherzo, nel senso che, nonostante le mie forzate pause da pc, riprendo volentieri questa storia che stai intessendo benissimo e che ci lascia ancora in attesa. Molto convincente la tensione di Alice. Mauro…bah, sembra uno dei tanti maschietti, ma il fatto che ce lo proponi in larga misura significa che ha nuovamente incrociato la strada di Alice.

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