AMNESIA 11: LA FINE.

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“Crediamo che alcuni ricordi possano nuocere al nostro presente ma, in realtà, è il presente a rammentarci che non siamo ancora riusciti a dimenticare.” (Lady Nadia)

AMNESIA: TUTTI.

Mauro lascia l’ufficio. Senza volerlo, mentre richiude la porta principale di vetro, vi nota riflessa la sua sagoma, curva e che pare invecchiata. Gli occhi sono ridotti a due fessure accerchiate da qualche grinza, la sua fronte è più rugosa del solito. Si cura di inserire l’allarme tramite un piccolo telecomando. Una lucina rossa sullo stipite comincia subito a lampeggiare a intermittenza.
Ogni passo è pesante ed è causa di forti fitte alla testa. Raggiunge il suo BMW.
Per tutta la giornata ha tentato invano di racimolare una qualche esigua somma di contante senza ottenere alcun risultato. Non resta altro che confidare in Sandrino. Forse l’indomani, stando alla conversazione che avevano sostenuto in mattinata, sarebbe riuscito ad ottenere dalla banca un ennesimo e agognato prestito.
Risale sull’auto e la mette in moto. Accende i fari, è molto buio. Osserva Il cielo nuvoloso, senza luna e neppure stelle.
Come da accordi deve raggiungere Sandro, quindi inserisce la freccia per svoltare su una via secondaria.

Sara e nonna Giulia sono entrambe sedute sul sedile posteriore del taxi, si scambiano occhiate soddisfatte di intesa mentre percorrono strade incastrate nelle gallerie oppure abbracciate da infinite radure di erba bassa e sorvegliate da alti monti acuti e innevati.
Stanno ormai per raggiungere Sondrio. Sara è travolta da ondate adrenaliniche dovute a un eccessivo entusiasmo, nonna Giulia risulta agitata, impaziente, si sfrega di continuo e tra loro le mani giunte. La sua fronte è tanto umida da riuscire persino a riflettere i fari delle vetture transitanti sulla corsia opposta. Ancora euforica, sogna quel futuro ormai così imminente e si augura di ottenere presto il suo riscatto. Gode al solo pensiero di incontrare Mauro, distrutto, in quella serata memorabile.
Nell’abitacolo regna da più di un’ora il silenzio. Persino il taxista, dopo alcune frasi di circostanza, ha rinunciato a proferire parola. Si ode solo un respiro profondo quando finalmente, a lato della strada, appare un cartello che segnala l’arrivo a Sondrio.

Mauro giunge all’appartamento di Sandro intorno alle 21.
E’ accolto da un sorriso falso, nota la tavola già apparecchiata in maniera scialba, frutto di un’evidente praticità maschile.
Del vino rosso è già stato versato in bicchieri da osteria, dei tovaglioli mal ripiegati, di carta, risultano quasi accartocciati sotto le posate di acciaio.
Consumano la cena, un piatto di spaghetti troppo cotti e conditi a aglio, olio e peperoncino. Mauro non ha fame. Rinuncia al secondo anche a causa di uno sgradito odore che si innalza da un vassoio ove ristagna una poltiglia fumante marrone e dentro la quale si riconoscono a malapena dei piccoli pezzi di carne.
Se il bicchiere si svuota, Sandro, gentile, subito lo riempie di nuovo.
Mauro mangia poco e beve tanto. Avanza anche un po’ di spaghetti coi quali giocherella con la forchetta dopo averli ammucchiati su un lato del piatto.
I due scambiano poche parole ma, al termine della cena, Sandro avanza la proposta di proseguire la serata in un bar che ha appena cambiato gestione e si trova accanto ai giardini “Sassi”.
“Offro io!”, esclama, ironico.
Mauro accetta a malavoglia ma qualcosa dovrà pur fare per svagarsi un po’. E se anche fosse rimasto in quella casa, non avrebbe fatto altro che tormentarsi per la situazione economica.
Inoltre è intontito e ignaro di essersi somministrato anche una discreta dose di calmante. Crede che quella sensazione possa essere dovuta all’interazione tra l’alcol che ha trangugiato e la pastiglia per il mal di testa assunta solo qualche ora prima.

Sara offre al taxista il compenso dovuto. Questi riparte brusco, senza nemmeno aspettare che potessero allontanarsi un poco dalla vettura.
Ai bordi del parcheggio nota diversi cassoni dell’immondizia, la raccolta organica, i contenitori per plastica e vetro.
L’aria spira con una discreta forza, trascinando con sé molto freddo e un odore intenso di terra umida e erba. Giudicando anche dal cielo, da qualche parte e non molto lontano, avrebbe già potuto piovere.
Due grossi fari, forse un SUV, illuminano i loro volti a giorno costringendole a socchiuderli per il fastidio.
Sara sente il suo cuore battere all’impazzata. Giulia cerca di calmare la rabbia che pare impadronirsi di lei. Delle ombre si allungano per poi scomparire mentre l’auto ruota per parcheggiare lì, accanto a loro.
Dall’abitacolo fuoriescono due sagome. Una barcolla e l’altra pare stia fumando una sigaretta. Il vento trasporta nelle loro narici un odore acre di tabacco. Inoltre, in lontananza, si notano alcune scie chiare e sottili di fumo che ondulando si allungano veloci, assottigliandosi per poi svanire.
Poi un tacchettio di suole, forse in cuoio, echeggia nel piazzale. Un ritmo sincopato funge da tamburo in perfetto sottofondo al battito del cuore, alle spinte del sangue nelle arterie.
Sandro si fa coraggio e spezza il silenzio che aleggia solitario nell’aria.
Le due donne restano immobili, non sembrano percepire nemmeno il gelo proveniente dai ripidi pendii circostanti e che, invece, sembra attanagliare ogni altra cosa.
Giulia ha la sensazione surreale di assistere alla proiezione di un filmato al rallentatore e, nonostante le distanze tra loro fossero ormai ridotte, osserva quell’uomo percependolo lontano, distante.
Un vecchio lampione irradia la sua luce debole e offuscata da un velo di sporcizia illuminando appena il volto di Mauro.
Il tempo pare giocare nel restare sospeso su una linea immaginaria in bilico tra i loro sguardi.
In Giulia si ravvivano una miriade di brutti ricordi, mai dimenticati, tutti insieme.
Visualizza delle immagini nitide come resoconti di ogni singolo e terribile momento.
Le neonate vispe, adagiate nell’incubatrice mentre agitano le sottili gambette. I loro corpicini così vellutati e morbidi eppure costretti nel restare uniti, quei bellissimi visini tondi e paffutelli.
L’indimenticabile snervante attesa, gli occhi incollati all’uscio della sala operatoria, gli abbracci bagnati dai pianti, le grida isteriche, le luci a neon sopra quel lenzuolo bianco adagiato sulla barella che correva via. “Sara non ce l’ha fatta!”. La disperazione.
La ditta a Pavia, le prime difficoltà economiche.
Il terribile incidente, l’obitorio. L’odore di sangue rappreso e di morte, le narici piene, come la testa.
La confusione. Il panico. Notti e notti insonni. Il silenzio. Il vuoto.
La nuova casa.
Alice con quello sguardo perso, Alice e le sue stranezze, Alice e le amnesie. La comparsa di Sara.
E poi ancora ospedali. Camici bianchi, verdi, azzurri e di ogni colore. Cibo plastificato consumato su letti asettici posti in locali che parevano delle scatole, chiuse tra muri spogli, lucidi e chiari, troppo, da far male agli occhi. Smarrimento, tristezza, resilienza, angoscia e poi rabbia e infine, forte, l’odio.

Mauro fissa Giulia. Sembra drogato. Ha un mancamento ma riesce a riconoscerla.
Si rialza, a fatica. Si regge a malapena in piedi. Volta lo sguardo, lento. Ora osserva attento anche la donna più giovane. I suoi lineamenti non lasciano dubbi: è senz’altro Alice.
Dopo l’incidente aveva provato un vago ma lieve senso di colpa, mai un vero rimpianto. Era conscio di aver commesso un terribile sbaglio guidando ubriaco e causando la morte di entrambi i genitori di quella bimbetta e di averle sconvolto tutta la vita, in pochi secondi. Eppure non ne aveva mai sofferto davvero benché, negli anni immediatamente successivi, si fosse proprio ostinato nel volerla incontrare e rivedere. Ma non aveva provato nulla. Nessun sentimento. Non riusciva a soffrire, non poteva, era nato così: difettoso.
Sapeva di avere un problema, forse una forma di autismo ma l’aveva tenuto per sé, aveva preferito tacere quella scomoda verità imparando a simulare le reazioni degli altri in base ai vari stati d’animo. Si reputava apatico, vuoto, inutile, incapace tanto di amare quanto di odiare.
Grazie alla sua spiccata intelligenza era riuscito a compensare ogni mancanza. Si era riscattato con gli studi, poi con la professione e mai si era arreso ai suoi ripetuti fallimenti. Le uniche preoccupazioni che riuscivano ad assillarlo riguardavano il mero benessere economico. Detestava essere considerato mediocre e soprattutto restare senza denaro.

Nonna Giulia infila piano una mano nella sua borsetta. Sara la osserva mentre muove qualche passo sull’asfalto. Mauro è ancora in preda ai suoi pensieri e fissa ora il vuoto, perso e intontito, senza accorgersi di Giulia, che, nel frattempo, si è avvicinata a Sandro.
Sussurrandogli qualcosa all’orecchio, gli porge di sottecchi qualcosa che trattiene dietro la schiena. Sandro muta espressione, spalanca gli occhi, pare impaurito. Cerca lo sguardo di Sara, forse per ricevere della comprensione ma nota solo un’espressione languida e supplichevole.
Gli eventi delle ultime ore si sono accavallati troppo velocemente. L’amore che prova nei confronti di Sara è immenso. Desidera con tutto il cuore restarle sempre vicino. Approfitta di quel momento di confusione dell’amico e indietreggia pano portandosi alle spalle di Mauro. Si guarda attorno: il parcheggio e la strada sono deserti e il buio avvolge ormai ogni cosa in quella notte fredda e ancora senza stelle. Mauro ora ha quasi la sembianza di una statua di pietra, sullo sfondo l’Adamello, bianco.
L’ara gelida è la protagonista di un gioco ipnotico, Sara e la nonna osservano di sbieco, senza voltare la testa, trattenendo l’entusiasmo. Giulia irrompe rabbiosa con il fragore di un vetro che si frantuma all’improvviso in un milione di pezzi:” tu non sei un uomo, tu sei un mostro! Meriti di morire per ciò che hai fatto a mia figlia, meriti di morire, per Alice e per Sara!”
Sandro, rapido, allarga il braccio che tiene ripiegato dietro la schiena e lo solleva. Impugna con due mani un grosso coltello da cucina. La sua lama, per un secondo, irradiata da quell’unico lampione presente, con uno sfavillio, simula già alta una mezza luna.
Mauro torna in sé quanto basta, pare realizzare ciò che succede. Qualcosa gli trapassa la carne da dietro, con forza, fino a raggiungere il cuore. Percepisce una fitta lancinante, un dolore immenso. Non prova terrore, nemmeno rabbia. Come sempre non prova nulla. Rivive il momento dell’incidente, vede il sangue, poi il volto di Natasha, quelle sue grandi tette e Mirella che sbraita con la bava alla bocca. Il battito del cuore sembra impazzire, poi rallenta. Si accascia al suolo, sul cemento. Si ode un tonfo sordo, dei rantoli a vuoto. Infine è silenzio.
Il vestito scuro che indossa, al buio, lo rende un tutt’uno con l’asfalto.
Sandro è immobile. I palmi delle mani rivolti al cielo. Trema, osserva. Ha un cedimento. Si inginocchia accanto a Mauro e piange come un bambino. “Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?”, mugola disperato.
“Zitto e alzati! Carichiamo il corpo in macchina, presto!”, comanda nervosa Giulia.
Sandro si rialza e obbedisce. Apre il baule, afferra Mauro per le spalle. Nota il ciuffo di capelli ricadergli sul viso, è rigido e pesante, ancora tiepido. Nonna Giulia e Sara gli afferrano i piedi. Le scarpe lucide sono macchiate da piccoli schizzi rossastri. Lo infilano nel baule, lottano con i suoi arti per poter richiudere il portellone.
Sull’asfalto poche tracce di sangue. Il cielo regala delle grosse gocce di pioggia. Nonna Giulia non riesce a rinunciare ad un sorriso e si accomoda soddisfatta sul sedile posteriore.

“Sara, fai in fretta, sali in macchina!”
Sara invece si avvicina alla portiera ancora aperta. Giulia si accorge che il suo viso è provato, pare diventato dolce.
“Nonna. Io non ero d’accordo. Non lo sono mai stata. Vi siete macchiate della sua stessa colpa. Non sarete mai felici, le vostre mani sono sporche di sangue, siete delle assassine. Nonna, perché?”
Giulia comprende. Sara ha lasciato emergere Alice, come promesso, per l’ultima volta e pare essere al corrente di tutto.
“Asciugati quelle lacrime e salutami come si deve! Abbiamo solo qualche minuto a disposizione prima che torni Sara. Mi hai voluto bene Alice? E allora fallo per me, dimentica questo ultimo mio gesto disperato e abbracciami!”
“Nonna non posso. Ora ho capito. Tu hai sempre agito nell’interesse di mia sorella, affinché fosse lei ad occupare definitivamente questo corpo.”
“E’ la più forte, Alice cara! Solo Sara era in grado di cavarsela anche senza di me, io non sono certo eterna e, inoltre, non potevo fallire, non potevo morire senza la certezza di avervi reso giustizia e di sapervi capaci di badare a voi stesse. Tu sei dolce e cara Alice, e troppo buona. Tu hai perdonato quella bestia ma hai sacrificato te stessa. La tua vita sarebbe continuata così, passivamente, tra un’amnesia e un’altra. Sara, invece, lei condurrà un’esistenza normale, vivrà per tutte e due.”
“No, hai sbagliato. Ha proprio sbagliato.”, sussurra delusa Alice, ancora in pianto.
Giulia prova una gran pena per lei e, mentre la osserva, nota un ennesimo e repentino cambiamento di espressione.
La nipote ha uno slancio improvviso, con un balzo raggiunge la portiera al lato del conducente e balza in auto. “Metti in moto Sandro! Sali a “Sant’Anna”, al vecchio convento.” E’ Sara.

Sandro, di proposito, non accende nemmeno i fari. Guida con gli occhi lucidi che riflettono vari frammenti di luci artificiali provenienti dall’esterno. Non riesce a realizzare l’accaduto, è confuso, quasi come se tutta quella vicenda fosse accaduta a qualcun altro e lui vi avesse solo assistito.
I tornanti si susseguono nel buio, uno dopo l’altro. Presto avrebbero raggiunto il convento abbandonato collocato su un picco roccioso che ricade a strapiombo sulla città.

“Dai, buttalo giù!” Intima Sara.
I tre, proprio sul ciglio del burrone, lasciano andare simultaneamente quel corpo che precipita nel vuoto, a valle. Il coltello ancora conficcato nella schiena.
Sandro si immobilizza osservando il precipizio nero. Realizza. Si volta verso Sara, desidera del conforto, un abbraccio. Lei gli si avvicina, si prepara come per cingerlo a sé, invece, irrigidendo la muscolatura, gli infligge all’improvviso una spinta. Lo osserva sgranare gli occhi, allargare la bocca in un’espressione ebete di stupore. Anche Sandro cade, all’indietro, seguendo il destino di Mauro.
Nonna Giulia dichiara con una sottile ironia: “ogni delitto richiede un colpevole!”

Le donne si avviano giù per la montagna. Nonna Giulia cammina piano a causa dell’artrite. Sanno che occorrerà più di un’ora di cammino per raggiungere l’appartamento di Sandro.
“Nonna, dobbiamo prima recuperare i soldi che ha rubato a Mauro. Li conservava nella cassaforte di casa sua. E’ stato così stupido… pensa, mi ha rivelato anche il codice! Poi torneremo a Milano. E’ finita! Io vivrò la mia vita. Hai tanto male alle ossa nonnina?”

AMNESIA: ALTRI RICORDI.

Nonna Giulia si allontanò dal camino con l’intenzione di spiare la piccola Alice. La porta della sua cameretta era socchiusa così vi poggiò delicata il palmo della mano per spalancarla un po’ di più.
La bimbetta non si accorse di nulla, era intenta a giocare con quelle due noci che aveva posto sul pavimento e che tentava di far dondolare, simultaneamente, spingendole con il suo piccolo indice affusolato e cicciottello. Canticchiava la prima parte di una filastrocca che la sua mamma era solita ripeterle prima di morire.
La piccola realizzò la presenza di nonna Giulia sulla soglia e scappò dalla stanza, forse con un po’ di vergogna, come se fosse stata sorpresa durante un momento di privata intimità.
La nonna osservò quelle noci a terra. Quando furono del tutto immobili le avvicinò e appoggiò con forza un piede su una di esse. Era quella vuota. La riconobbe tramite una macchia di nero sul guscio, un residuo ormai secco del suo mallo, che l’aveva protetta e ricoperta durante la maturazione.
Premette con forza. La noce si frantumò subito, con un vigoroso e improvviso schiocco. Non si curò di ripulire e lasciò la camera.
Alice era seduta sul divano, la TV trasmetteva un cartone animato. La nonna esclamò fingendosi dispiaciuta: “devi scusarmi Alice, per sbaglio, ho calpestato una delle tue noci e si è rotta.”
Alice raggiunse di corsa la sua stanza, vi si rinchiuse sbattendo la porta. Singhiozzò per quasi un’ora.
Quella notte, Alice e la nonna si abbracciarono e piansero a lungo prima di riuscire a prendere sonno; tuttavia realizzarono, ciascuna a modo suo, che quella sarebbe stata l’unica cosa giusta da fare, a qualunque costo.

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

42 pensieri riguardo “AMNESIA 11: LA FINE.”

  1. Sara oltre a usare il corpo di Alice usa anche quello di Sandro (è un talento eh), anche se poi lo getta – d’altronde non serviva più… Devo dire che ho trovato inquietanti Sara e Giulia – un po’ di più Giulia, specialmente dopo aver letto l’ultima scena…
    Complimenti, non era facile gestire un racconto come questo, e seminando sorprese praticamente fino alla fine…

    Ogni bene

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    1. Sando è immobile. I palmi delle mani rivolti al cielo. Poi li ricongiunge, come in preghiera. Si china e esclama,commosso: “grazie Rodixior, te ne sarò per sempre grato”, ancora ignaro della sua prossima fine. 😂😂😂

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  2. Mi sono piaciuti molto i colpi di scena e l’ultimo ricordo della nonna con la bambina…molto bello. Scrivi molto bene, hai una buona capacità descrittiva. Proprio per questo invece l’omicidio così diretto dell’ “Uomo che ha rovinato la vita degli altri” l’ho trovato un po’ troppo scontato. La tensione saliva, saliva, il viaggio in automobile, l’attesa, l’arrivo, finalmente l’incontro dei personaggi…..e poi il finale classico.
    Scusami, è che io sono un perfezionista.

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    1. Ciao. Grazie per la tua presenza qui e soprattutto per il tuo parere. Questo mio è un banco di prova, un esercizio. Prima o poi scriverò un romanzo fantastico! Le critiche servono eccome e perciò ti ringrazio per la tua graditissima opinione di cui farò tesoro per le prossime volte. E … ce ne saranno tante di prossime volte…
      Comunque mi prendo volentieri anche i tuoi complimenti, che non sono male né!
      Tu scrivi? Non hai blog? Grazie e ciao!

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    1. Ciao Newwhite, questo tuo intervento evidenzia i limiti di un blog ove si posta a puntate un “breve romanzo” con cadenza di 7/10 giorni tra l’una e l’altra.
      Non è certo una tua mancanza, nemmeno una mia. Essendo un romanzo, delle noci, se ne era parlato qualche puntata fa. Comunque va bene, grazie per i bei complimenti. Io medito e registro le vostre impressioni per non ricadere negli stessi equivoci che comporta una lettura “saltuaria” a distanza di tempo.

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    1. Grazie Gio. Come ho detto a Newwhite, avevo parlato delle noci in precedenza. Queste sono le “controindicazioni” di un breve romanzo a puntate postato sul blog a distanza per puntata di 7 /10 giorni. Diciamo che è servito a me, come esercizio e voi ne avete tratto qualche pezzo di vostro gradimento. Potrà ricapitare, ovviamente sono da prediligere i racconti singoli con questo tipo di divulgazione.
      Ciaoooo e grazieeee.

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  3. Inizio la mia critica partendo dal finale di questo lungo racconto (o romanzo breve): ci si sarebbe potuti aspettare un finale più cruento, in perfetto stile à la Bret Easton Ellis e però non sarebbe risultato plausibile, neanche all’interno di un contesto meramente narrativo qual è questo. “Amnesia” vuol essere soprattutto un lavoro di scavo psicologico dove gli elementi thrilleristici sono soltanto funzionali alla psiche dei personaggi, mentre la storia è disegno di più destini fra di loro legati e che, per un certo tempo, viaggiano su binari paralleli.
    Siamo dunque alla fine, l’explicit è stato scritto e funziona, perché davvero non si poteva sperare in un svolgimento dei fatti diverso da quello che è stato messo nero su bianco. Nonna Giulia è poi solo – si fa per dire! – colei che slega il destino delle due nipotine, vestendo i panni di una moderna Parca. Giulia, a un certo punto, comprende che bisogna tagliare il filo di Alice affinché Sara possa finalmente vivere sino in fondo la sua vita. E però, essendo Giulia una moderna Parca, non può fare a meno di pensare a sistemare anche Mauro e Sandro, di dar un senso alla loro vita sempre portata avanti nel loro esclusivo interesse e mai nei confronti del prossimo.
    Brava, Nadia. Sono convinto che meglio di così davvero non avresti potuto fare per questa storia di chiaro stampo psicologico e non thrilleristico.

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    1. Io l’avevo semplicemente visto così. Non sono andata in cerca di mirabolanti artifizi, ma, piuttosto ho voluto rendere sorprendente lo scontato. Ora raccolgo le impressioni. Ciao!

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  4. Diabolica la nonna. Quella noce schiacciata definisce tutto: Alice, la fragile, doveva lasciare il posto a Sara, la forte, anche assassina. Ora la nonna dormirà sonni tranquilli sino alla fine dei suoi giorni consegnando al mondo una nipote incapace di perdono e diabolica come lei.
    A ben pensarci dei protagonisti non si salva proprio nessuno.: male che genera male.
    Mi sono piaciuti alcuni tratti descrittivi che connotano meglio la storia e i personaggi. Molto brava!

    (Sei una perfezionista, rileggi dell’arrivo del suv, dei volti e delle ombre e sagome e dell’auto che ruota. Forse qualcosa si dovrà sistemare.)
    saluti dal Sud, alla prossima 🙂

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