
Sulle scale c’è un gran fermento. La serata si prospetta rilassante per pochi eletti, solo per chi riuscirà ad astenersi, come sempre del resto, dalla barbosa riunione condominiale.
Ho trascorso il pomeriggio cercando di trovare una scusa valida per potermi assentare, ma l’orologio della cucina segna ormai le otto e venti, e se non mi sbrigo sarò costretta a giustificare il mio ritardo.
Al contrario, gli psicopatici dell’attico saranno senz’altro impazienti di accoglierci. Potranno così esibire, ancora una volta, tutte le migliorie apportate negli ultimi mesi al loro enorme appartamento.
Respiro a fondo, poi suono il campanello. Non posso far a meno di notare subito il contrasto fra le mie scarpe sgualcite da ginnastica e lo zerbino zeppo di paillettes luccicanti, nuovo di zecca, degli Ardito.
Lei mi accoglie tutta imbellettata. Indossa un abito in pelle, nero e attillato che, per chissà quale motivo, riesce a farmi pensare alla buccia di una melanzana. Mi squadra dalla testa ai piedi, poi si sforza di trasformare una smorfia di disgusto in un sorriso ampio e falso.
Ancheggiando e ondeggiando, quasi sicuramente pensando di essere non meno bella e in gamba di Kim Basinger, mi fa cenno di seguirla. Osservo i suoi tacchi a spillo e mi vien da pensare che sembrano hashi.
Il largo corridoio è illuminato a giorno da una fitta costellazione di faretti alogeni. Percorrendolo ho l’impressione di visitare una modesta galleria d’arte. Statue che raffigurano donne in posizioni scabrose, e dipinti a olio dai colori sgargianti sono stati disseminati ovunque.
“Hai notato mio nuovo Ongaro?”, mi chiede la vanitosa padrona di casa. Poi sbatte più volte le lunghe ciglia, ovviamente finte.
Getto un’occhiata fugace alla mostruosità appesa alla parete, occhiata sufficiente ad accrescere in me un forte senso d’inquietudine.
Attraversiamo l’enorme sala da pranzo in stile veneziano, varchiamo la porta scorrevole in vetro di Murano, e infine sbuchiamo nell’enorme salone.
Accuso un’improvvisa stanchezza: avverto forti crampi ai piedi e mi sento a pezzi, come se avessi appena terminato una escursione ad alta quota.
Nonostante il soggiorno degli Ardito sia vasto come una sala da ballo, sento mancarmi l’aria: la percepisco fin troppo calda, anche viziata.
La padrona di casa mi invita a prender posto sul divano a sinistra, proprio accanto alla Panzanera. Cerco di guadagnarmi spazio, dopo essermi infilata a fatica tra il suo culone e il bracciolo. Il divano a destra è già occupato dal ragionier Melandri, dalla Tozzi e dalla Torquato.
Enry e Milo siedono al tavolo in stile Luigi XVI, vicino all’amministratore e a Mezzalira, con la sua enorme gamba di gesso.
La signora Cozza, invece, occupa la sedia a dondolo che troneggia in mezzo alla stanza.
“Cara, non mi stancherò mai di dirlo: trovo che questo appartamento sia davvero fantastico, e che questa sedia sia un sogno ad occhi aperti!”, esclama sorridendo e scalciando come una mocciosa.
“Abbiamo dovuto lottare parecchio, poi siamo riusciti ad accaparrarcela a un’asta. È un dondolo inglese, un pezzo d’antiquariato davvero pregiato. Fu fabbricato nel lontano millenovecentotre”.
Questa storia, ripetuta fino alla nausea, riunione dopo riunione, è in grado di farmi rivivere il medesimo incubo che tormentava la mia infanzia. Quando avevo la febbre alta, mi coglieva all’improvviso la sensazione di aver già vissuto un preciso momento una serie infinita di volte. Se a quei tempi mi fossi imbattuta in una sedia a dondolo come quella, questa avrebbe di sicuro dato origine ai miei peggiori incubi.
Il signor Ardito, magro e dritto come un bastone, rimane immobile davanti alla finestra. Indossa un elegante completo da cerimonia, che non stento a giudicare fuori luogo. Mi vien persino il sospetto che abbia preferito restare in piedi per non stropicciare gli impeccabili e costosi pantaloni che indossa.
Cercando d’ingannare l’attesa, cerco di scovare sul mobilio ben lustrato un misero granello di polvere; ma niente di niente; e allora sopravviene in me un sentimento d’invidia a causa dell’estrema pulizia che regna nell’appartamento.
“Non arriverà nessun altro. Possiamo cominciare!”, annuncia la Ardito, mentre adagia un foglio sul tavolo.
“Bene, abbiamo la delega della Brighella. Ce ne sono delle altre?”, chiede l’amministratore.
Ci osserviamo con curiosità, ma non parla nessuno.
Poi aggiunge, spezzando un silenzio diventato fin troppo imbarazzante: “Sono dispiaciuto per ciò che è accaduto al povero Prisco. È davvero una brutta faccenda!”
Il ragionier Melandri si alza all’improvviso dal divano, facendo sussultare tutti.
“L’ascensore fa di nuovo le bizze, eppure non è rotto. Abbiamo constatato che rimane spesso bloccato al livello dell’attico.”
“Io non ho fatto niente!”, si giustifica la Ardito.
Le famiglie che abitano quassù sono solo due, e non bisogna esser dei maghi per riuscire a fare uno più uno; inoltre, come recita il famoso proverbio, se non è zuppa è pan bagnato!
“Signora, non stiamo sostenendo un processo, e nessuno intende accusarla.”
Enry molla una gomitata a Milo, poi scoppiano entrambi a ridere. Persino la Cozza smette di dondolarsi, ma solo per un attimo.
“Noi crediamo che qualcuno se ne serva per…”, cerca di spiegare il ragionier Melandri, risultando davvero buffo e impacciato.
“Parla per te, e evita di insinuare dei concetti generici. Io non credo proprio a un bel niente!”, lo interrompe la Ardito, voltandosi con aria severa nella direzione del marito.
“Anch’io non do adito ai pettegolezzi, mia cara.”, dichiara lui, affettuoso sì, ma senza riuscire a essere pienamente convincente.
Tra l’Ardito e la Brighella c’è una bella amicizia, e tutti i condomini ne sono al corrente. Solo un piccolo cervello, vittima di uno spirito eccessivamente impulsivo come quello del povero Melandri, avrebbe potuto credere di andare a segno dopo aver sferrato un simile attacco.
“Domani affiggerò in bacheca una nuova comunicazione per vietare un utilizzo improprio dell’ascensore, nonché ogni suo servizio che differisca dal salire e dallo scendere.”
“Bene, bravo, proviamo così!”, esclama la Torquato, fin troppo su di giri.
Melandri stringe le mani a pugno, poi scuote la testa ripetutamente, in segno di diniego.
“Dubito che un misero pezzo di carta possa bastare a risolvere il problema!”, ribatte irritato.
“L’etica professionale mi vincola a procedere per gradi, dunque mi affiderò a una buona comunicazione. Allorché questa si rivelasse insufficiente, mi sentirò autorizzato a passare alle maniere forti”, dichiara l’amministratore. L’uomo lascia trascorrere alcuni secondi e poi aggiunge: “C’è altro di cui discutere?”
La Panzanera mi sfiora il ginocchio; se la sta ridendo sotto i baffi. Mi fa l’occhiolino.
Il volto di Melandri è diventato paonazzo. Non riesce a star fermo con le mani. Oltremodo agitato, dà l’impressione di uno che abbia commesso un atroce delitto. Suda freddo e respira come un asmatico.
“Lo stenditoio della Brighella!”, grida. E si rilassa. Ha sputato il rospo, doveva farlo.
“Quell’aggeggio è pericoloso?”, domanda l’amministratore sgranando gli occhi grigi.
“Pericoloso? No, non direi. Mi accontenterei di definirlo indecente. Ecco, l’ho detto!”
“Il ragioniere ha omesso di raccontare che la signora Brighella è solita stendere in bella vista i suoi sconci capi intimi. Anzi, sarebbe più appropriato definirli degli orrendi straccetti di pessimo gusto…”, rivela la Panzanera, ormai stanca di restare quieta e in silenzio. Le parole fuoriescono dalla sua bocca secche e rumorose – terribili cannonate.
“Senza ombra di dubbio, la Brighella è una donna affascinante. Sono certa che viene presa di mira da una miriade di invidiosi e malelingue. Il suo viso è perfetto, e Il suo seno tondo e sodo è proprio generoso. E le sue gambe, mon Dieu! Lunghissime, affusolate, spesso nude, altre volte solo velate da un paio di calze a rete davvero sexy. Non credo che il fascino sia l’unica qualità che conta nella vita, ma quando una persona ne ha da vendere non dovrebbe sentirsi obbligata a nasconderlo”, sentenzia la Ardito, con convinzione.
“Sono pienamente d’accordo con te, amore mio”, interviene il marito.
Al’improvviso accuso un attacco di colite.
La fronte dell’amministratore è madida di sudore: la tampona col fazzoletto, poi lo sventola per farsi un po’ d’aria, sospira e infine dice: “Mi suggerite di rivedere il regolamento condominiale? In questo caso è bene che sappiate che nessuno potrà stendere la propria biancheria all’esterno: la legge è uguale per tutti.”
“In effetti, dovendo stendere i miei panni in balcone, non resterebbe spazio sufficiente per poter mangiare fuori, durante la bella stagione”, si lascia sfuggire malinconica la Tozzi.
“Non potete farmi un torto simile! Io adoro stare al sole. Come potrei continuare a farlo con uno stenditoio pieno zeppo di biancheria fra i piedi? Purtroppo abbiamo un balcone solo!”, afferma la Cozza, balzando giù dalla sedia a dondolo, con agilità felina o quasi.
“Io ne ho tre, ma comprendo benissimo il disagio”, si lascia sfuggire la Ardito modulando il suo tono di voce su un accento assai sgradevole.
“Anche stendere in casa non mi pare una buona soluzione, si crea troppa umidità, soprattutto in inverno…”, sussurra la Torquato.
“Non mi interessa un fico secco degli indumenti della Brighella!”, esclamo io.
“Nemmeno a noi interessano!”, rispondono, quasi all’unisono, gli innamorati Enry e Milo.
“Vi consiglio di lasciar perdere questa faccenda. In un condominio, si sa, di tanto in tanto è necessario chiudere un occhio. Oltretutto, un paio di indumenti intimi, e per di più lindi e profumati, non possono far altro che strappare un sorriso e risollevare un po’ lo spirito.”
Sul volto di Melandri appare una smorfia di disgusto, come se avesse appena dovuto ingoiare un grosso rospo. L’uomo torna a sedersi sul divano, lanciando all’amministratore un’occhiata infuriata.
Si rannicchia così tanto che qualcuno potrebbe scambiarlo per un marmocchio finito in castigo
Mezzalira si sporge dal tavolo, individua la stampella che ha lasciato sul parquet, e con una performance di goffa agilità riesce a ghermirla. Poi la solleva in aria, agitandola e puntandola verso Melandri.
“Non sono mica stupido, cosa credi? Ho visto come la guardi, come se stessi assistendo a chissà quale apparizione! E adesso fai il puritano. Lo fai per tua moglie, per il Generale Melandri: quella sì che ti fa rigare dritto!”
Melandri si alza di scatto e si precipita al tavolo. Appoggia il palmo delle mani sulla spessa superficie di legno e poi si sporge, finché la sua faccia paonazza è a un palmo di naso dal povero Mezzalira.
Il dottor Barozzi cerca di separare i due litiganti spingendo indietro il ragioniere e riuscendo ad allontanarlo dal suo rivale solo alcuni centimetri.
“Di certo non sono io quello che se la spassa con la Brighella sull’ascensore. E se non mi credi, chiedi pure alla signorina!”, urla fuori di sé il ragioniere, sputacchiando. Poi si volta nervoso verso di me.
Vorrei diventare invisibile, vorrei sprofondare nei cuscini del divano. Mi pento di aver partecipato a questa orribile riunione. Mi rannicchio, mi curvo, taccio e tento di ripararmi dietro la grossa schiena della Panzanera.
“Se non chiudi subito quella boccaccia, giuro che ti spacco anche l’altra gamba”, inveisce Melandri.
“Calma. Dovete mantenere la calma!”, intima severo l’amministratore.
Il signor Ardito mette fine all’imbarazzante scenetta: “Se non la smettete, vi sbatto fuori da casa mia!”
Quando la situazione torna a essere sopportabile, vengono presi in rassegna alcuni preventivi per deliberare il nuovo giardiniere, poi si discute il noioso bilancio annuale.
La Tozzi propone di sostituire le cassette della posta: la maggior parte delle serrature sono rotte, e a tutti, almeno una volta, è capitato di trovare le buste aperte.
“Qualcuno si diverte a leggere la corrispondenza degli altri!”, lamenta.
“Furti di vino, violazioni della privacy, tradimenti, Carabinieri, ambulanze… In questo palazzo non ci facciamo mancare niente!”, si sfoga la Panzanera, allargando le braccia e spingendomi così tanto a ridosso del bracciolo che mi sembra d’esser finita fra le sbarre d’una prigione.
Mi butto sul letto vestita. Sono sfinita. Talvolta mi capita di soffrire la solitudine, ma dopo aver trascorso un paio d’ore con i vicini, mi ritengo fortunata di poter vivere in tutta tranquillità, con un tetto sopra la testa, un lavoro e del cibo sulla tavola. Dalla vita non potrei desiderare altro. Inoltre, non ho mai creduto che una riunione condominiale potesse risolvere i problemi. Non oso pensare alle paturnie della signora Melandri, quando realizzerà che quel gran chiacchierone di suo marito non è neanche capace di far valere le proprie ragioni. Sono sicura che domani se ne vedranno delle belle!
Mi scappa già da ridere. Poi le palpebre diventano pesanti, la mia schiena indolenzita sprofonda rilassandosi nel materasso, e i miei piedi, finalmente, trovano pace.
Poi tutto si fa buio, e io non penso più a niente.
Delizioso
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Wow! Ciaooo.
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Ed ecco che i condomini si scatenano nel corso della consueta riunione condominiale. Si mettono a nudo, mostrano le loro fragilità e i loro pochi pregi. La fantasia è spesse volte specchio della realtà; e in questo pezzo mirabilmente scritto veniamo a contatto con persone marcatamente egoistiche, che avanzano richieste strampalate, quasi dittatoriali; ognuno crede d’esser il padrone assoluto del condominio, e questa convinzione non può non generare confusione e accesi alterchi. “Furti di vino, violazioni della privacy, tradimenti, Carabinieri, ambulanze… In questo palazzo non ci facciamo mancare niente!”, così dice la Panzanera, che però non è di certo una santa. Divertentissimo e debolmente grottesco, questo nuovo capitolo de “Il condominio” merita tutta la mia approvazione.
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Uellaaa, ma… grazie.
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mi pare la plastica riunione condominiale fatta di colpi bassi e congetture varie. Bravissima
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Grazieee. Buona domenica sera!
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buona serata
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Una scena divertente e ricca di personaggi, e scopro che (o almeno così mi pare) è parte di una serie o di un filone. Bene, sarà una piacere recuperare gli arretrati 🙂
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