
La luce del sole è stata divorata dall’oscurità. Il sottobosco geme pestato sotto ai miei piedi. Gli alberi agitano le loro chiome scossi dal vento gelido, ululanti e urlanti vorrebbero catturare anche me, con le loro fronde, per afferrarmi e scagliarmi lontano, in quel cielo nero.
Gli uccelli spaventati non trovano un riparo, i loro nidi sono stati spazzati via, i rami sono anche per loro delle fruste minacciose. Mi sto addentrando in una terribile tempesta. Un uragano minaccia il suo arrivo, poco lontano, sradicando man mano le radici più solide e risucchiando con la sua forza ogni forma di vita. Il cielo nero mostra un drappo rosso all’orizzonte, come sangue che sgorga da una grossa ferita. Un vulcano in lontananza borbotta e si lamenta, lento ma minaccioso accende le sue ire cominciando a rigurgitare della lava.
Dal cielo piangono meteore infuocate, intorno a me e ovunque. Di istinto mi copro la testa nell’illusione che possa servire. La terra intera trema mostrando paura e si lacera vulnerabile. Perdo l’equilibrio e cado nel fango freddo e viscido. E’ anche maleodorante.
Mi maledico. Non avrei dovuto essere qui ma il nucleo terrestre con il suo magnetismo mi attrae irresistibilmente urlando il mio nome. Devo raggiungerlo, questo è un viaggio al centro della terra.
Non riesco a stabilire la direzione del mio andare, raffiche fortissime mi sospingono dove desiderano e a loro mi devo affidare.
Mi aggrappo ad alcune rocce, cerco di resistere al vento che ora è troppo forte, non riesco quasi a respirare.
Noto una spelonca larga meno di un metro. Mi infilo a fatica lacerandomi le braccia.
Il mio sangue sgorga dalla pelle, lo pulisco con la bocca assaggiando la sua consistenza mista al sapore della terra.
Non ho paura e mi sento incredibilmente viva.
Mi inoltro in quell’antro buio e subito una frana di terriccio e sassi tenta di travolgermi serrando l’entrata dietro di me. Come un lombrico sono costretta a scavare per crearmi un passaggio più largo che mi permetta di proseguire e di trovare un po’ di ossigeno per respirare.
Sono anch’io sottosuolo. Terra tra le dita, nei capelli, negli occhi, dentro ai vestiti sotto le unghie, in bocca, nel naso.
Sono come seppellita. Gioco a mosca cieca con l’ignoto.
Proseguo così, strisciando in discesa verso gli antri segreti dell’oscurità.
Il buio più pesto non è quello della notte, è qui.
Come attutiti odo numerosi fischi e boati provenire dalla superficie e, nel contempo, dalle profondità mi giungono strani rumori simili a cantilene beffarde.
Posso solo procedere.
Ora avanzo assumendo la posizione di un coccodrillo, in alcuni punti i passaggi sono troppo stretti. Percepisco il mio petto sfregiarsi sulle rocce nel sottosuolo, sono prudente, lenta, striscio cercando di ridurre al minimo i graffi e il dolore.
Le narici mi si saturano di un odore acre, forse muffa, muschio e zolfo.
Continuo così, per ore, forse giorni, perdendo la cognizione del tempo, mentre una canzone rimbomba di continuo nella mia testa:
” Paura di fare un unico suono,
paura di non poter mai trovare una via di uscita, fuori, fuori.
Paura mai avuta prima,
io non volevo fare un altro giro”.
Non voglio essere qui, ma forse è peggio fuori.
Si, è peggio fuori!
Prima di questa apocalisse non avevo mai percepito così nitidamente me stessa.
Prima di questa apocalisse non avevo mai sentito così bene la forza della vita.
Non voglio continuare a nascondermi, ad essere banale.
Ho sete.
Dinanzi a me si apre uno spiazzo circondato da stalattiti e stalagmiti. L’ambiente è avvolto da vapore e fiocamente illuminato da una luce rossa, quasi un riflesso che, dopo tanto buio, basta ad accecarmi per qualche minuto. Sento il rumore di un infinito gocciolio assomigliare ad un pianto. Appena riesco a riaprire gli occhi noto una pozza, quasi un piccolo lago. Le sue acque sono torbide e melmose e anche parecchio puzzolenti e, sulla sua superficie, ondeggiano chiazze oleose, schiume bianche e vi galleggiano pesci ed alghe morti.
Carcasse di scheletri e ossa si accatastano in diversi punti della riva quasi a formare degli scogli.
Ho molta sete. La bocca è secca e mi duole.
Ratti, ragni e grossi scorpioni si agitano su e giù e tutt’intorno.
Sono accanto a me, mi passano vicino, sulle scarpe infangate, risalgono le mie gambe e mi camminano anche sul viso.
Le acque del lago si agitano improvvisamente, ne emergono delle sirene dallo sguardo maligno, i loro capelli sono delle alghe rosse che ondeggiano agitate come fossero animate. Quelle creature hanno occhi vibranti e invitanti come il fuoco. Cantano delle cantilene beffarde, i loro movimenti sono sensuali, i loro occhi assassini. Sghignazzano soddisfatte.
Tutte insieme escono dall’acqua. Sono almeno sei. Si avvicinano maliziose.
Mi circondano, noto la loro coda viscida e putrefatta. I loro visi presentano escrescenze e cicatrici.
Mi ipnotizzano e mi carezzano ovunque. Mi vogliono, mi pretendono. Io mi abbandono inspiegabilmente alla loro volontà ma, proprio in quell’istante, sopraggiunge un uomo alto e grosso di cui non riesco a visualizzare il volto.
Le rimprovera con un urlo selvaggio che rimbomba tra le pareti della grotta. Le creature impaurite scivolano tornando nell’acqua rapidamente, si immergono veloci, scomparendo e lasciando soltanto scie e bolle d’aria palpitanti.
L’ombra dell’uomo, in controluce, vanta delle corna simili a quelle di un ariete ma non provo nessuna paura, lascio che si avvicini e resto immobile, tranquilla: ho solo voglia di bere.
I suoi passi sono lenti, larghi ma molto pesanti. Li percepisco dalle vibrazioni del terreno.
La mia pelle accusa freddo, poi bruciore come se fosse accarezzata in alternanza da ghiaccio e olio bollente.
Le sue mani afferrano le mie caviglie e in quel contatto vedo tutto il male. Il suo, il mio e quello di tutto il mondo. Non so spiegarmi ma non ho nessun pentimento.
Mi trascina a sé. Mi divarica le gambe.
Mi bacia. Il suo alito fetido non mi reca particolare fastidio.
Mi avvolge tra le sue braccia ruvide, si stende sopra di me. Il suo peso mi comprime, non posso muovermi, resto immobilizzata ma riesco a percepire tutti i miei organi, uno ad uno, mentre si contorcono al di sotto del costato.
Non so se provare dolore o eccitarmi, mi perdo nelle pulsazioni del mio cuore che mi pare divenuto grosso e scoperto, riaffiorato.
Poi improvvisamente il gelo e poi non lo sento più.
Lui si allontana di qualche passo, si china nel lago. Raccoglie tra le mani un po’ di quell’acqua scura e torna da me offrendomi da bere.
Non penso più a nulla, solo a dissetarmi. Quando ho finito alzo lo sguardo per osservarlo ma vedo solo il mio viso, come in uno specchio, riflesso nei suoi occhi e comprendo di essere dannata, per sempre, lui non è interessato alla mia carne ma alla mia anima.
In quel momento vedo evaporare la mia essenza. Bianca e nera si solleva leggera e fluttuante nell’aria, si avvolge in una spirale e diviene grigia come cenere.
Lui, visibilmente eccitato sa come accoglierla dentro di sé, la attira e la fa penetrare nelle narici e in bocca, aspirandola, mangiandola, respirandola e traendone visibilmente godimento.
Ed ora riesco ad osservare i suoi occhi, sostengo il suo sguardo. Sono neri e rotondi come sassi, agitati, inquieti, stranamente alieni. Osservo il suo viso arcigno e rugoso, così vecchio da dimostrare più di duemila anni.
Compiaciuto allarga un sorriso maligno mostrando borioso e soddisfatto denti rotti e marci.
Le sirene sono riapparse alla riva opposta. Un uomo minuto è sopraggiunto da qualche altra impervia galleria, dal sottosuolo. Le creature lo immobilizzano con il loro canto, gli si avvicinano.
Si chinano su di lui, lo spogliano e cominciano a strappargli la carne con le mani e con i denti. Lo riducono in brandelli come dei leoni farebbero con la propria preda.
Poi i ragni, gli scorpioni ed i ratti, raggiungendolo, lo ricoprono completamente formando una coperta e ripulendone ogni osso alla perfezione.
Le sirene ora osservano ed anch’io senza nessuna emozione.
Presto mi giunge un richiamo.
Quasi come una sonnambula, rialzandomi, mi dirigo senza timore verso il lago.
Dapprima vi immergo i piedi, poi i polpacci, proseguendo le ginocchia. Sento quell’acqua quasi bollente scottarmi la pancia, poi le spalle. La pelle bruciata comincia a produrre delle vesciche. I vestiti bagnati diventano rigidi e mi avvolgono come in un bozzolo.
In apnea percepisco il mio corpo in mutazione. Credo di essere divenuta una sirena.
Qui non ho più bisogno di respirare.
Una volta, tempo fa, uccisi un uomo.
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