AUTUNNO.

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Fabiola Santarelli ” bimba con sciarpa” da gruppo Facebook “AMICI ARTISTI” (grafite e carboncino).

“A volte dei quadri possono ispirare delle storie che scaldano l’anima, come delle tiepide caldarroste consumate in autunno.” ( Lady Nadia)

Chiara si osservava intorno con un’aria curiosa. Era bellissima: il viso paffuto e dorato dal sole e avvolto da una cascata di capelli biondi e mossi. E poi quel piccolo naso così perfetto, e una boccuccia rosa, lucida, a forma di cuore.
“La vorrei mettere sulla testa!”, aveva esclamato la bambina divertita, afferrando dal cassetto della mamma una sciarpa a scacchi di lino. Simona, inginocchiandosi e sorridendo, esaudì il desiderio della sua piccola. La avvolse morbida attorno al collo di Chiara, e, solo in un secondo tempo, cercò di farla contenta ricoprendole un pochino anche la nuca. Gli occhi azzurri e grandi della bambina divennero lucidi di gioia quando si ammirò nella grande specchiera appesa nell”atrio.

“Mamma, cosa facciamo adesso?”
“Ti va di fare una passeggiata?”
“Certo! Poi mi prendi il gelato?”
“Quando torniamo però. Ok?”
Chiara sorrise. Era bella quanto un angelo.
Mano nella mano, le due si incamminarono per la viuzza ciottolata che conduceva al bosco, lasciandosi alle spalle la loro graziosa villetta.
Simona, in quelle abituali passeggiate, era solita portare con sé anche un sacchetto di plastica vuoto, bene appallottolato, infilato nella tasca del suo giubbetto. Chiara adorava raccogliere diverse cose durante le sue passeggiate. Potevano essere dei rametti, dei sassi, o ancora oggetti lanciati da chissà chi sulla via, come ad esempio: tappi di plastica, fili di ferro, bottoni… E poi il periodo era quello delle castagne. A dire il vero non erano ancora arrivate, i ricci non avevano ancora voglia di cadere a terra,  col loro bel verde restavano i protagonisti dei rami ormai quasi spogli ma… chissà! Ogni giorno poteva essere quello buono e forse,  avrebbero potuto portarne a casa solo qualcuna. Allora le avrebbero fatte bollire per il dopo cena, Chiara avrebbe atteso con ansia la loro cottura e, intanto, avrebbe disegnato col suo ditino sulla condensa al vetro della cucina. Lo avrebbe fatto anche se sapeva benissimo che la sua mamma non avrebbe amato ripulire con lo straccio tutte quelle facce rotonde sorridenti con i capelli dritti sul loro testone ma, in un certo senso, era come misurarne la sua pazienza, inoltre, se non l’avesse rimproverata, sarebbe stata una ulteriore e gradita conferma di affetto.

Non ebbero neanche il tempo di imboccare una secondaria verso il boschetto e Chiara già si chinò raccogliendo qualcosa.
“Mamma! Guarda cosa ho trovato!” “Cos’è?” Replicò Simona che, fingendo interesse, prese il piccolo oggetto tra le mani. Era un comunissimo pezzo di plastica, nero, consumato. Lo osservò cercando di dare una risposta alla figlia.
“Mah, potrebbe essere un pezzo di un copri-catena, sai, magari appartiene a qualche bicicletta. Forse un sasso che è stato preso di sbieco dal copertone è poi saltato su, rompendo la bici!”
La piccola sorrise. Le spiegazioni della mamma erano sempre così precise e così confortanti da farle provare un senso di dolce sicurezza.
Infilò la sua manina esile nel grande tascone di mamma ed estrasse il sacchetto. Accennò qualche saltello e dandogli un paio di sbattute lo distese gonfiandolo. Immediatamente vi infilò orgogliosa quel ritrovamento, porgendo poi tutto a Simona.
“Non lo porti tu?” Domandò la mamma, già conoscendo la risposta.
“No mamma, lo sai che poi mi annoio!” Replicò la biondina.
La passeggiata proseguì allegra anche se Simona era stanca. Come ogni mattina si era svegliata molto presto e, una volta lasciata Chiara alla scuola materna, la aspettava il suo consueto turno di lavoro in farmacia. Siccome nei cassettoni delle medicine ultimamente non si trovava più niente, il dottore le aveva chiesto di dare una bella riordinata. Non che le varie scatolette fossero pesanti ma, per sistemare, occorreva restare chinati per diverse ore, estraendone tutto il contenuto, dando una bella pulita al fondo del cassetto e reinserendo poi tutte le medicine, spostandone anche parecchie per rispettare l’ordine alfabetico. Nel frattempo, ogni tanto, il dottore la interrompeva anche per farsi aiutare in cassa. L’autunno, si sa, porta i primi malanni e la piccola farmacia di borgata era stata ovviamente presa d’assalto.
“Mi occorrono le caramelle per il mal di gola!” “ Della Tachipirina, grazie!” “ Ha qualcosa per la tosse?”

Quando Simona trascorreva i pomeriggi con la piccola, cercava comunque di non dar peso al suo mal di schiena e a volte anche al mal di gambe. Desiderava offrirle sempre il massimo di sé. In un certo senso era come se glielo dovesse, inoltre regalarle serenità, la faceva sentire appagata.

“Mamma! Perché le foglie muoiono?” Domandò improvvisamente la piccola.
Chiara aveva appena compiuto 5 anni e tutti sanno che questa è l’età dei “Perché?”.
Simona le lasciò scivolare una dolce carezza dalla guancia, lenta, giù fino al mento. Si fermarono un attimo: stavano procedendo troppo spedite, occorreva una pausa e, a causa del fiatone, le sarebbe risultato difficoltoso anche dare una risposta alla piccola.
“Perché loro preferiscono il caldo. Ogni autunno seccano e si staccano dai rami lasciandoli spogli per tutto l’inverno ma, quando tornerà la prossima primavera, riappariranno come teneri germogli e poi sbocceranno più belle di prima.”
“Anche noi moriremo per poi tornare più belli di prima mamma?”
Simona cercò di mascherare un tremolio nella voce che avrebbe mostrato una certa insicurezza e, prendendo un respiro profondo le rispose: ” Certo! Noi non moriremo in base a queste stagioni ma quando sarà il nostro momento ci staccheremo da questa terra e voleremo lassù, in paradiso, più belli di adesso. Ci puoi scommettere!”
Chiara pareva non aver nemmeno ascoltato la risposta. A giudicare dal suo sguardo si era incantata ad osservare il volo di un corvo che si era innalzato dal campo ai bordi del bosco. Per Simona fu meglio così. Avrebbero avuto tutto il tempo per affrontare questo argomento quando la bimba fosse un po’ cresciuta.
Si addentrarono nel bosco, raccolsero dei rametti, dei piccoli sassi. Poi lungo il cammino si imbatterono in un castagno che aveva già lasciato cadere a terra i suoi frutti belli e maturi. Chiara fu al settimo cielo. Aiutandosi con un bastoncino li estrasse insieme alla mamma, uno per uno e, continuando a ridere anche quando si pungeva, esclamò: ” Che fortuna! Le uniche mature! Mamma, questo albero ha pensato a noi!”.
Simona sorrise e, nonostante il mal di schiena che ormai era diventato quasi insopportabile, aiutò Chiara a raccogliere tutte quelle castagne, davvero tutte.
Cominciava ad imbrunire. Purtroppo le giornate erano già brevi. Con il loro sacchetto gonfio e pesante si avviarono a passi larghi verso il bar della piazzetta in centro paese, dove la piccola ebbe il suo gelato alla panna, e poi tornarono a casa.
Simona, esausta, svuotò il grosso sacco sul tavolo, incaricò Chiara di controllare quali castagne fossero “abitate” dai vermicelli. Quelle giudicate buone finirono presto nel lavandino. La bimba, salita in piedi sulla sedia le lavò per bene, senza risparmiare di annaffiare a più non posso anche tutto il piano della cucina e persino il pavimento.
Però era bello guardarla sorridere! Per una mamma non c’è nulla di più gratificante di osservare la felicità del proprio figlio anche con tutta la stanchezza del mondo.
Simona cucinò la cena e mise a bollire le castagne. Chiara giocò indisturbata con l’umidità del vetro disegnando alberi pieni di foglie e grosse facce sorridenti con quattro capelli piantati in testa.
Dopo cena ne consumarono con avidità la propria porzione. Chiara le morsicava golosa, schiacciandole aiutandosi con i denti, mentre Simona preferiva tagliarle a metà con il coltello e mangiarle utilizzando un cucchiaino da caffè.
“Posso mangiarne ancora?” Domandò insaziabile la piccola.
“Basta Chiara, troppe fanno venire il mal di pancia. Lasciane qualcuna a papà!”
Il padre, a causa dei suoi turni, sarebbe tornato tardi quella settimana, quando Chiara ormai stava dormendo.
Dopo aver sistemato tutta la cucina e aver lavato Chiara, Simona la accompagnò a letto. Mentre si chinò a baciarla sulla fronte la piccola esclamò: “ mami, domani possiamo tornare nel bosco?”
“Domani vedremo, penso di sì.” Replicò la donna che, esausta, in quel momento, non riusciva nemmeno ad immaginare un’altra passeggiata.
La piccola si perse immediatamente nel sonno cullata da nuvole di gelati alla panna e castagne da raccogliere.

Sul vetro della cucina si era formata della condensa. Simona si avvicinò alla finestra e disegnò una faccia tonda, sorridente con pochi capelli sulla testa.
Un profumo di castagne lesse si propagava nell’aria.
E, con la luce accesa, nel vetro osservò riflessa la sua immagine. Quanto era invecchiata da allora! Tanti segni del tempo le segnavano la pelle, gli occhi solcati dalle tracce di ogni emozione che aveva provato nella sua vita. Il ricordo di suo marito, un uomo alto, forte e benevolo la avvolse e la incupì. Attraverso l’immagine nella finestra, a quel pensiero, notò il suo volto divenire improvvisamente ancora più vecchio e osservò i suoi occhi lucidi.
Poi, passata la malinconia, disegnò un’altra faccetta, vicino a quella che già c’era. Più piccola e senza capelli ma altrettanto sorridente.
Una luce le illuminò il volto asciutto e corrugato e questo si distese: stava per diventare nonna!

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

48 pensieri riguardo “AUTUNNO.”

  1. Bisogna contrastere l’idea che ha sempre negato che in Italia fosse realmente esistita una cultura romantica intesa non solo come rinnovamento dell’estetica e delle funzioni letterarie, ma come profonda rivolta spirituale che imponeva il primato della soggettività umana, del genio creativo e delle origini italiane, appunto.
    Leggendo questo vostro, milady, vi riconoscemmo l’idea lirico-filosofica di poesia in prosa come consolazione e come espressione dell’assoluto interiore, conciliabile con e grazie ad un profondo senso di educazione civile.
    Ci faceste sentire entro un periodo storico particolarmente fortunato e afferente alla vostra ultima novella.
    Quel periodo storico che vi ricordò il dopo dalla definitiva sconfitta di Napoleone nella Battaglia di Waterloo.
    Era un periodo molto particolare.
    Un periodo triste un po’ per tutti e noi ve lo potemmo riferire proprio per averli vissuti quei momenti.
    Disillusione per un mondo che tramontava e che aveva dato tanta speranza.

    Una novella simile alla vostra l’avevamo ascoltata, da un cantastorie a Piombino, negli ultimi giorni del principato di Piombino appunto, quando tornò Sua Altezza il Granduca Ferdinando, un uomo illuminatissimo e che lasciò, dopo l’annessione, molte delle leggi che l’Empereur aveva concesso.
    Quello che ci colpì fu come, i nostri compatrioti sputarono in alto, contro tutti i benefici avuti dall’Imperatore e pur di farsi notare come ottimi sudditi, attirarono nella profonda saggezza di Sua Altezza, la benevolenza della Corona, ma anche il loro isolamento: completamente inaffidabili.
    La storia, per brevità, vide Nerina e Biancuccia, che operarono per la maggior parte come la vostra bellissima storia.
    Finiva bene, sapete?
    Ecco perché ce la ricordaste: terminava in modo similare.

    -Oh mamma, dove ci conducete?
    -Al passeggio del lungomare. Ci sono i legni
    (i velieri. Ndr) di Sua Altezza il Granduca. Da oggi anche noi diventiamo toscani. Il nostro caro Principato, da oggi non esiste più.
    -Cosa vuol dire mamma?
    -Vuol dire che quando sarai grande te lo spiegherò.
    -Potreste avere un soldino per quel po’ di patella al miele della Sora Cicca? Lì, mamma, vedete?
    -Sì figliuola, ma te ne rileverò un soldino, al ritorno.”

    E poi ancora:

    Dopo che il babbo, Nardone, era morto al seguito dell’Imperatore, nella bettola tenuta da mamma Nerina, la piccola Biancuccia si era ripresa un po’ dalla profonda tristezza disegnando una faccetta nella cenere del camino di pietra dove trionfava un enorme paiolo e il profumo degli allessi caldi (le castagne lessate. ndr) si propagava nell’aria.
    E ne disegnò un’altra.
    Un sorriso, fugò quegli attimi di mestizia: la nonna, in fondo alla strada, stava giungendo
    .
    ___________

    Ci ricordaste tanto mia signora.
    Quasi come un corso e ricorso.

    Ormai il tempo cancellò quegli episodi dolcissimi, ma grazie a voi, essi tornarono con gioia e vigore a scaldare il nostro cuore.
    Siete proprio brava.

    Abbiate le nostre cordialità più romantiche.

    _____________

    PS: Perdonateci l’affabulazione. Preferimmo esaltare tale vostro splendido amorinni, in modo adeguato alla sua bellezza.
    Grazie per averci fatto ricordare l’ormai lontano Primidi Fruttidoro, … Ehm, pardon, l’Empereur non c’era più, … il 5 Settembre 1815.
    Che annata!

    _____________

    Cordialitazioni viveggianti

    🙂

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    1. Sebbene non sia ferrata in storia, sapevo stavolta collocare sulla linea del tempo la battaglia di Waterloo. Quindi avevo giá sorriso. Noto con piacere che è rimasto immedesimato e questo, ai fini letterari e di produzione è assolutamente un bene. Sono contenta che, a suo modo, l’abbia apprezzato! Buon lavoro!

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  2. Mi spiace per coloro che possano non credere che da qualche parte, in qualche piccolo borgo, in qualche remoto angolo della nostra infelice Repubblica, questa storia possa essere reale ( o quasi).
    Se non si riesce a gioire delle piccole cose, ogni giorno, se non si riesce a consolarsi con nulla, se la malinconia assale e non si riesce a quietare o incanalare in qualcosa di positivo… allora si che si è vecchi, molto vecchi dentro.
    Qualche volta le lacrime possono servire più che nascondersi dentro un mondo di tacita rassegnazione.
    Questo pezzo di fantasia è una storia in BUONA parte realmente accaduta. Ovviamente in luogo difficile da trovare su ” L’isola che non c’é” che, per pochi eletti o fortunati, esiste davvero.
    Ed io adoro le castagne in autunno!😊

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    1. .

      Ma che bella notizia.
      Attendemmo, milady, con tanta tanta tanta fiducia nelle vostre capacità saltatorie!
      Su su, i beveraggi e i generi di conforto (Hotdog mit Krauten und Guinness beer) sono qua!
      Su milady, l’Italia intera, isole comprese, sta tifando per voi!
      Piuttosto: siete sicura dell’altezza?
      Per esser più tranquilli, spiccate un bel salto in alto e poi, con un be tuffo d’angelo … si vedrà.
      (Dovreste avere un’elevazione di un ulteriore mezzo metro).

      Ma che brava la milady!
      State tranquilla, il nostro altissimo senso civico ci fece spostare tutte le auto posteggiate in basso.
      Non farete danni.
      Per cui ….

      🙂

      Il milord speranzoso!
      🙂

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  3. C’è tutta una vita dentro questo bel racconto, una vita fatta di gioie e dolori, di forze e stanchezze, di stupori e malinconie, di distacchi e nuovi arrivi. Che entusiasmante girandola sa essere l’esistenza!
    Letto con piacere. Splendida l’immagine che lo accompagna.

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  4. Se buona volontà si ha di dare un futuro all’umanità, questo non potrà che venire dalle nuove generazioni, perché i nostri figli – che forse un giorno saranno migliore di noi – sono l’eternità promessa. Non rimpiangiamo dunque quel che è stato per noi, se oggi siamo vecchi e con pochi capelli: abbiamo avuto le nostre possibilità per fare qualcosa di buono, e tirar su un figlio è sicuramente la più grande e difficile opera che un genitore possa portare a termine.

    Un racconto che parrebbe scontato e che invece tale non è. Molto bello. Complimenti.

    beppe

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    1. Esattamente Beppe.
      Ecco quello che mi ha colpito: l’assoluta mancanza di scontatezza che, ormai, si può leggere un po’ dappertutto.
      Una scontatezza che ti spegne dentro e non ti permette di innamorarti, ancora, attraverso una bella lirica che soddisfa.
      Proprio molto bello.
      Ciao

      Un saluto alla milady

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  5. È un bel racconto che trasmette intimità e la fatica dedicata all’ altro che in questo caso è una bambina di cinque anni con bisogni che spesso non si possono rimandare. È un racconto che parlando di altri butta una luce sulla nostra esperienza quotidiana. Incantato

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