
La scrittura c’è, ma il contenuto non è reso in maniera accattivante. Un buon romanzo atto a essere pubblicato deve andare oltre la semplice avventura. Le azioni devono essere un pretesto per poter raccontare forza e debolezze dei protagonisti.
Emettendo un grugnito animalesco, subito seguito da uno sbuffo carico di nervosismo, Edo richiude la casella di posta. Due anni di duro lavoro sono stati annientati da un banalissimo click. Può anche darsi che la storia sia buona, ma, nella migliore delle ipotesi, andrebbe riscritta da capo, dall’inizio alla fine.
Eppure aveva passato in rassegna il romanzo, capitolo per capitolo; l’aveva fatto un’infinità di volte, fino ad accusare un forte senso di nausea, prima di inviare la storia alla casa editrice. Si era emozionato più volte durante la scrittura, e non aveva mai smesso di provare sentimenti altalenanti nella fase infinita di rilettura. Si era sforzato di restare fedele a un preciso stile letterario, e aveva anche evitato di dichiarare in maniera banale i sentimenti provati dai suoi personaggi. Aveva cercato di dipingerli, di cucirglieli addosso e di lasciarli trasparire nelle varie situazioni, ma, soprattutto, aveva preferito il sottinteso, intendendo celarli nelle azioni compiute dai protagonisti. Però aveva fallito. Jack, per esempio, non avrebbe dovuto sbattere la testa sulla porta senza fiatare, nel lasciare per sempre la propria casa, e insieme sua moglie. Edo aveva creduto che esternare l’introspezione di Jack, ossia tradurre in parole i suoi pensieri, potesse rappresentare una mera debolezza e che ciò non fosse indispensabile per esprimerne lo stato d’animo. Era certo di poter conquistare e travolgere il lettore mostrando il duro carattere di Jack, la sua complicata personalità.
Una voce alquanto fastidiosa lo distoglie dai suoi cupi pensieri. Esplode all’improvviso, acuta, e subito echeggia lungo il corridoio: “Edo, sei di nuovo nel tuo mondo? Mi avevi garantito di aver finito quella stupida storia. Mi avevi promesso una pausa. Forse non è così?”
Edo impreca sottovoce. Si alza. Nel tentativo di calmarsi si affaccia alla finestra. Sente il bisogno di prendere una boccata d’aria fresca, e subito viene raggiunto da una folata di vento bollente che par provenire da un forno. L’estate è alle porte, e prima d’ora non se n’era accorto. Il viale pullula di gente felice. Chi mangia un gelato, chi si rispecchia vanitoso nelle vetrine, chi chiacchiera senza tirare nemmeno il fiato. Tutti danno l’impressione di essere frizzanti e leggeri, nonostante fuori faccia davvero caldo. Una decina di giovani si sono riuniti davanti al bar Stella; ridono di gusto, fischiano alle belle ragazze che indossano canotte attillate e calzoncini che esaltano le loro forme nascondendo ben poco della loro femminilità; solo alcune portano gonne sopra il ginocchio. Edo è stanco di quell’assordante trambusto cittadino e sarebbe disposto a sacrificare un decennio della sua miserabile vita se solo gli fosse data la possibilità di trasferirsi su un’isola deserta. Una vespa vola a un palmo dal suo naso. Vorrebbe farla secca, tuttavia, per paura di esser punto, si limita a scacciarla con un rapido gesto della mano, badando poi a chiudere bene la dannata finestra che dà sugli inferi!
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La storia è interessante, ma è troppo carica di sentimento. Ha uno stile vintage che pare forzato, innaturale, anacronistico e non proponibile al lettore.
Edo tira due pugni fortissimi. Il computer traballa, il sostegno del monitor cede di colpo e questo si rovescia sul piano della scrivania. Tre anni erano trascorsi dal primo rifiuto. Da sempre suscettibili alla moda letteraria, forse i lettori erano davvero cambiati. D’altronde, come biasimarli? Erano stati travolti da una terribile pandemia. Dannato Covid-19! Inoltre, proprio quando le cose sembravano andare per il verso giusto, il mondo doveva vedersela con una nuova e inaspettata guerra.
Edo ha le lacrime agli occhi. Aveva lottato contro il rigetto della sua grande passione, poi si era fatto forza e si era rimboccato le maniche. Nonostante le enormi difficoltà per risuscitare tutto il brio e la fantasia che da sempre gli appartenevano, si era finalmente convinto a riscrivere il romanzo. Alcune scene erano diventate strazianti, commoventi all’ennesima potenza, eppure, a quanto pare, non era riuscito a fare abbastanza. Non ancora! Forse avrebbe potuto metterlo nero su bianco adottando uno stile nettamente diverso. Migliorare è sempre possibile, così pensava. Tuttavia sapeva di essersi impegnato immensamente, anche oltre le sue possibilità. Aveva abbattuto ogni sua resistenza interna, e ci aveva dato dentro come un matto.
Sua moglie è uscita. Giulia è un tormento. Lei lo fa apposta, lei gode nel fargli i dispetti. Non appena Edo si siede alla tastiera, fa subito capolino nello studio. Talvolta esige un po’ di attenzione, ma non mancano le volte che osa sottoporgli questioni e faccende che, a suo dire, sono di vitale importanza. Il più delle volte Edo riesce a mantenere la calma. Si alza, la segue come farebbe un servo obbediente, si morde le labbra e obbedisce. Solo per il quieto vivere. In fondo, prima di riprendere a scrivere, le aveva persino voluto bene. Ma era anche capitato che desse di matto. Edo ritiene che disturbare uno scrittore al lavoro sia peccato mortale. E chi non pratica non può capire. Quando non batte sui tasti del computer, quando punta gli occhi verso il soffitto o in direzione della finestra, Edo necessita di silenzio assoluto. Sta modellando la sua storia, oppure sta cercando una parola, maledetta e perfetta, da inserire proprio lì, nella frase che è stato costretto a lasciare a metà. Qualche volta, per trovarla deve riflettere anche mezz’ora, e poi, magari, il giorno appresso la sostituisce con un’altra che gli pare più conveniente e meno scontata. Se perde il filo sono guai! Sarà costretto a cancellare per intero la frase o, ancor peggio, si vedrà costretto a spegnere il personal computer, perché l’ispirazione – fuoco sacro sempre capriccioso – lo ha definitivamente abbandonato.
Giulia trascorre molto più tempo fuori casa. Benedette siano le sue nuove amiche! Se mai dovesse tornargli la voglia di scrivere, potrà stare più tranquillo, in completa solitudine.
Edo si affaccia alla finestra. I pochi alberelli malandati, piantati ogni tre metri lungo il bordo del marciapiede, sono carichi di fiori. Nonostante il cielo sia terso e la temperatura piuttosto ideale, pochissime persone passeggiano nel vicolo. Poco tempo prima, osservato da lassù, il frenetico movimento cittadino gli aveva restituito l’immagine di un formicaio brulicante.
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Siamo spiacenti di comunicarLe che il suo lavoro non ci ha convinto, nonostante sia piuttosto buono. Soprattutto a causa del difficile periodo economico che stiamo attraversando, la casa editrice A.M. deve, a malincuore, rimandare la pubblicazione dei numerosi romanzi proposti da tanti esordienti come Lei. La invitiamo a contattarci più avanti, magari con un nuovo lavoro.
Edo stenta a credere a quello che ha letto. Per riuscire a terminare il suo romanzo, si era dovuto violentare; aveva sudato, aveva sacrificato davvero tutto, per riscrivere, per l’ennesima volta, la sua amata e odiata storia. Nel frattempo, Jack aveva imparato a sbattere le porte, ed era persino diventato bravissimo a imbastire lunghi e toccanti monologhi. Dalla prima stesura, sette lunghi anni erano trascorsi.
Il locale è in penombra. La libreria strabocca di volumi di ogni genere. Si tratta di classici, di grammatiche, di svariati manuali e saggi di scrittura. Questi ultimi sono sparsi anche sul pavimento, in pile altissime che danno l’impressione di toccare il soffitto. Ci sono libri ovunque: davanti alla televisione impolverata, sul tavolo del soggiorno, sulla credenza. Ce ne sono in cucina, sopra o sotto le sedie; sono aperti o chiusi, con o senza segnalibro, e non di rado sono storpiati da terribili e grandi orecchie sulle pagine. A ben guardare se ne trovano persino in bagno: appoggiati sul mobiletto che contiene i detersivi inutilizzati e alcuni rotoli di carta igienica. Per il resto, la casa è vuota. Il letto è in completo disordine. In un bicchiere di vetro opaco è rimasto un solo spazzolino.
Edo scosta la tenda logora davanti alla finestra dello studio. L’orizzonte è una linea di fuoco venata di lingue purpuree. Fa ancora caldo, eppure per strada non c’è nessuno. Luci giallognole, artificiali, cominciano timide a irradiare le finestre dei palazzi circostanti. La serranda del bar Stella resta sempre calata. Anche molti negozi hanno cessato la propria attività. Il vicolo tace persino di giorno: non si radunano i ragazzi, le donne risparmiano, evitano lo shopping; solo gli insetti e gli uccelli continuano imperterriti la consueta beata e vecchia vita.
Col romanzo gli sarà andata male, ma, tutto sommato, sa di essere fortunato: i bombardamenti hanno devastato molti territori, hanno raso al suolo numerose città, ma la sua è ancora in piedi, e la luce non manca mai di baciarla. Quella assurda e tremenda guerra gli ha almeno assicurato un po’ di pace.
Un calabrone ronza davanti alla finestra, gli sfiora i radi capelli e, con una certa temerarietà, entra in casa. L’uomo si china, afferra in mano una ciabatta malridotta e la lancia; nel locale risuona un tonfo sordo, e subito una grossa macchia rossastra compare sul muro. Porco mondo, voglio la finestra spalancata! Nel cielo comincia a brillare la Luna. Edo si siede davanti al computer, seleziona una compilation di musica classica, e picchiettando come un forsennato sulla tastiera, prova a scrivere una nuova storia.