UN MOTIVO.

images.jpg

Gino strofinò il vetro con la manica con l’intento di ripulirlo dalla sottile patina di condensa causata da un vecchio termosifone in ghisa che esalava intermittenti folate calde. Come ogni pomeriggio si era accostato alla finestra per osservare il grande giardino.
Un vialetto di porfido rosa collegava il cancellone di ferro battuto con l’uscio dello stabile e serpeggiava zigzagando tra le betulle ormai già spoglie e alcuni cespugli di azalee che si erano rattrappiti dormienti in attesa di una nuova primavera .

Durante il giorno l’alto cancellone di ferro battuto veniva lasciato sempre spalancato.
Esattamente nel centro di quella zona verde, si ergeva arcigno e fiero un grisso abete che, sapendo resistere per natura al gelo, conservava i suoi aghi verdi e, con la sua chioma pungente, pareva quasi proteggere una panca di cemento posta dinanzi al suo stabile tronco.

Ogni giorno,e sempre alla stessa ora, un’arzilla e anziana signora dal passo più che spedito si inoltrava nel parco, lungo quella viuzza.
I suoi modi erano fini, delicati, e la sua andatura pareva quasi una danza leggera, Gli occhi azzurri e chiarissimi sembravano ancora più vispi cerchiati dalla montatura spessa di un paio di occhiali neri e tondi, che, per abitudine, o forse a causa di un ticchio, era solita accomodarsi con l’indice sulla punta del suo piccolo naso alla francese; ripeteva quel gesto di continuo, senza nemmeno accorgersene.
A contraddistinguere quella donnina e, forse, a farla apparire davvero speciale, era un’espressione di gioia che le si leggeva in volto; le apparteneva un sorriso luminoso che le regalava senza alcun dubbio un aspetto ancora piuttosto giovanile e nel contempo simpatico.
Lei rideva spesso. Rideva tra i raggi del sole che baciavano la terra filtrando spezzettati dai rami. Rideva osservando una farfalla in volo; rideva se il ghiaccio birichino si lasciava penzolare dai cornicioni e persino alle pozzanghere con i loro giochi di riflessi o al passaggio furtivo di un gatto.
Sorrideva a tutto.
In primavera, più volte, capitava anche di poterla osservare mentre immobile contemplava un qualsiasi fiore appena sbocciato. Si chinava lentamente, forse rigida a causa di un po’ di mal di schiena e allorché non le fosse possibile annusarne il profumo, ne sfiorava i petali con l’indice ben affusolato, delicata e desiderosa di carpirne quella vellutata e misteriosa consistenza.
Se poi incontrava qualcuno lungo il suo percorso, salutava felice, sventolando la sua manina sottile e rugosa e socchiudendo i suoi meravigliosi occhi che diventavano piccoli e lucenti tanto da apparire come due fessure profondamente illuminate.
Quando le capitava di incrociare qualche malizioso ragazzino o un piccolo bambino tenuto per mano dalla mamma o dalla nonna, allora si arrestava all’improvviso, ben dritta e frugandosi in tasca ne ricavava sempre qualche caramella colorata che vi era stata appositamente infilata per quella eventuale occasione. Distendendo del tutto il braccio e inclinando la testa in una maniera realmente amichevole, la porgeva così ai discoletti, accompagnandola sempre ad una infallibile e calda risata e ottenendo di scambiare due chiacchiere anche con le personalità più difficili, timide o riservate.
Una volta raggiunto il grande pino soleva sedersi sulla sua bella panchina, osservandosi attorno sempre appagata e soddisfatta. Dopo essersi accomodata e aver sistemato bene sulle sue gambe magre la borsa di pelle marrone che portava a tracolla, ne estraeva un gonfio sacchettino di plastica. Con una straordinaria calma scioglieva il nodo apposto alla sua estremità e affondandovi dentro tutta la mano vi pescava un pezzo di pane raffermo. Allora lo spezzettava con cura e una volta ridotto a piccoli cubetti, cominciava a lanciarli, disseminandoli lì intorno. Attendeva quindi sicura, con sapiente pazienza e soprattutto con un grande sorriso, l’arrivo e le planate di diverse specie di uccelli che dapprima scrutavano diffidenti l’ambiente, poi golosi e voraci afferravano avidi nel loro becco un piccolo bocconcino. Ecco che dispiegavano di nuovo le loro ampie ali per volare via ma per poi ritornare presto, ancora più avidi. Potevano essere pettirossi, merli o, nelle giornate più fortunate, persino delle magnifiche gazze, grigie e bianche con la coda squadrata, lunga e vibrante.

Gino riusciva persino ad intuire se, dopo aver sfamato tutti i volatili della zona, la donna si fosse anche potuta dedicare alla lettura.
Spesso sostava sulla panca più di un’ora, reggendo tra le mani tremolanti un volume preferibilmente non rilegato e dal quale penzolava la stessa treccina di lana, blu e gialla.
In caso di vento questa oscillava in perfetta sincronia a qualche sottile capello ormai bianco che si agitava libero nell’aria, sfuggito per sbaglio dall’aristocratico chignon.
Leggeva anche in quella stagione fredda, avvolta da un elegante e pesante cappotto beige che aveva tutta l’aria di essere davvero morbido, caldo e parecchio confortevole.

E quel pomeriggio andò esattamente così.

Gino si perdeva ad osservare quel grazioso viso che assorto nella lettura mutava continuamente espressione e avrebbe certo saputo indovinare se il capitolo fosse stato allegro, triste o piuttosto soltanto avvincente. In cuor suo nutriva forte la speranza che, prima o poi, quella donna si potesse accorgere di lui, di quel volto anziano e forse un po’inquietante nascosto dietro a quella finestra.
Forse, prima o poi, avrebbe trovato il coraggio di scendere in cortile e l’avrebbe salutata con emozione e cortesia: “buongiorno bella signora, sono Gino. La osservo da un po’ passeggiare nel parco. Mai nella mia vita mi sono innamorato di una donna dunque non so se ciò che provo per lei possa esser considerato amore ma… desideravo davvero conoscerla… e di persona e… con tutto me stesso. Ho il gentil permesso di poter restare e tenerle compagnia? Le prometto di non disturbare troppo la sua lettura! La guarderò soltanto da più vicino.”

Lei gli avrebbe certamente sorriso.
Seduti vicini, entrambi avrebbero sorriso al sole, agli alberi, ai fiori, alle farfalle, ai ragazzi e ai bambini… forse alla vita intera.

Tuttavia, altre volte, il cielo regalava una pioggerellina noiosa oppure persino fitta. Allora il giardino si tingeva di grigio e risuonava vuoto e spento, come se ogni cosa risultasse assopita o addirittura crollata in un pesante sonno, avvolta stretta da una coperta di plastica lucida che solo l’allegra signora sarebbe stata in grado di poter scoprire, durante il suo successivo passaggio.

Gino l’aveva chiamata così: signora Gioia.

Sussultò.

“Gino, è l’ora della terapia!”
Un’infermiera si avvicinò alla sedia a rotelle e afferrandola la ruotò su se stessa per direzionarla verso l’uscio che dava sul lucido corridoio bianco.
“Guardavi ancora dalla finestra Gino?”
Gino non rispose, si limitò ad abbassare la testa.
“Osservavi la bella signora?”
Nessuna risposta: l’ometto continuò a fissarsi le cosce avvolte da un pigiama a costine.
“Cosa stava facendo oggi di bello?”
Con un filo di voce Gino si decise a parlare, quasi balbettando.
“Oggi rileggeva Anna Karenina.”
“Che donna interessante, capisco perché ti piace così tanto! Scusa Gino, abbasso la tapparella, tanto ormai in inverno vien buio presto. Tranquillo che ormai la tua signora è già tornata a casa sua. Va bene? Posso?”
Il vecchietto si limitò a fare un cenno lento e affermativo con la testa.
L’infermiera si avvicinò alla finestra che dava su un piccolo e quasi inesistente cortile interno del tutto ricoperto di cemento e a sua volta circondato da altri edifici appartenenti alla casa di riposo. La donna afferrò rapida la corda, calò la tapparella e ritornò ad impugnare la carrozzina di Gino.
“Mi hai promesso che un pomeriggio di questi mi accompagnerai in giardino!” Sibilò nostalgico lui, con la frase più lunga che ebbe mai pronunciato da quando, circa tre anni prima, fu ricoverato nella struttura.
La donna si immobilizzò per qualche secondo poi si limitò a rispondere dolcemente: “Ci penseremo! Dai, ora andiamo giù in ambulatorio, forza, da bravo, premi tu il bottone e chiama l’ascensore…”

Dedicato con un “grazie” a tutti coloro che si occupano ogni giorno delle persone anziane, con amore, con riguardo e tanta attenzione preservandone speranze, sogni e illusioni ma soprattutto quell’angolino di felicità, qualunque o dovunque esso sia.

 

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

31 pensieri riguardo “UN MOTIVO.”

  1. In un periodo in cui non leggo quasi più nulla su WP, dato che o non trovo post nuovi o trovo autentiche infamie, venire qui significa non sbagliare mai.
    Due personaggi straordinari, la tua sensibilità e le mie lacrime. Lacrime di grande e profonda commozione.
    Per me il tuo capolavoro assoluto!

    Piace a 1 persona

  2. Ale, prendo i complimenti belli e li serbo con gioia però mi spiace per ciò che ultimamente è diventato il tuo pensiero generale nei confronti dei social di ogni tipo. Io lavoro e tiro dritta, finché ne avrò voglia. Un abbraccio dalla tua amica Lady N.😊

    Piace a 1 persona

  3. queste persone, pazienti e a amorose, si prendono cura di chi non è più in grado di fare da solo.
    Un bel post, venato da un briciolo di nostalgia per un tempo che per Gino, come per tutti quegli anziani nelle sue condizioni, era felice.
    L’immaginazione fa vedere una realtà che è solo sogno.

    Piace a 1 persona

    1. Mi è partitooooo !
      …ma è vecchio.
      La vita è così, alti e bassi. Se ci sarà concessi il privilegio di invecchiare, beh, potendo chiedere vorrei essere Gioia.
      Vorrei che Gioia esistesse davvero.

      "Mi piace"

Lascia un commento