AMNESIA 5.

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“Il ricordo della felicità è ancora felicità, il ricordo del dolore è ancora dolore.” (Lord Byron)

AMNESIA: SANDRINO.

“Bravo! Trovo che questo hotel sia carino e molto riservato. Mi piace sai? Però Sandro, spegni l’abat-jour per favore!”
“E tu infilati qui, al calduccio, su! Riusciamo a trascorrere così poco tempo insieme, non sprechiamolo.”
“Più avanti ci potremo incontrare più spesso Sandro, per ora accontentati, faccio del mio meglio. Non è facile per me, ogni volta, liberarmi di lei.”
“Sara, promettimi che un giorno non troppo lontano vivremo insieme. Ho bisogno di sapere che tutto ciò che sto facendo ha un senso.”
“Certo, non ne abbiamo già parlato mille volte? A proposito: come procedono le cose?” Domandò Sara, del tutto nuda, sollevando il pesante piumone e scivolando poi delicata nel letto accanto a Sandro. Le lenzuola fredde e umide le causarono un forte tremito.
Sandrino la avvicinò a sé, cingendola in un affettuoso abbraccio e rassicurandola: “ Tutto sta filando liscio e secondo i piani. Come già ti avevo raccontato, Mauro ha ripreso a bere e tra poco la falegnameria cadrà in completa rovina. Ho sperperato una gran parte del suo patrimonio. Infine credo che sua moglie, una volta a conoscenza dei suoi debiti e dei numerosi tradimenti non potrà che lasciarlo. Domani pranzeremo insieme e dunque potrò aggiornarti meglio la prossima volta. Questione di mesi Sara, ormai ci siamo!”
“Quella poco di buona, Natasha… non canterà vero?”
“Non credo proprio, dato il generoso compenso che abbiamo pattuito e non ritengo possa essere stupida. Stai tranquilla e serena, sta collaborando e mi riferisce ogni cosa.”
Sandrino la cinse con una forza tale da toglierle quasi il fiato. Il contatto con la sua pelle morbida e con il suo fisico esile gli donò immediatamente una enorme eccitazione.
Sara poggiò le labbra al suo orecchio e mordicchiandolo dolcemente gli sussurrò con voce sinuosa e roca: ”bene, ho bisogno di sapere che tutto procede senza intoppi. Sono stanca di fare questa vita, anch’io desidero trascorrere più tempo con te .”
“Allora cerca di non farmi attendere un’eternità per il prossimo appuntamento. Trova un modo. Ti desidero, sei fantastica. Ci ritroveremo qui se ti fa piacere. Tu chiami, io corro. Solo vorrei che possa accadere più spesso.”
“Grazie per la tua pazienza Sandro e grazie per il tuo aiuto ma… ti stavo per confessare che oggi non sono affatto tranquilla. Non posso trattenermi ancora a lungo. Lei è agitata, sospetta qualcosa. Ti fidi di me? Quando giungerà quel giorno, saremo finalmente liberi, liberi di stare insieme.”
“ E allora non perdiamo altro tempo Sara. E fammi un regalo, dimmi che posso riaccendere la luce… Vorrei finalmente poterti osservare mentre facciamo l’amore.”
“Ancora?” Sara si stizzì rimproverandolo: “non chiedermelo più, per favore. E’ presto. Non sono ancora riuscita ad accettare me stessa. Credevo di essere già stata chiara in passato e in merito a questo argomento. Pensi solo al tuo piacere, sei egoista. Proprio non riesci a comprendere la mia sofferenza!”
“Ma… detesto questo buio obbligato, ogni volta. Sei bellissima e non immagini quanto mi piacerebbe guardarti mentre… Non sai quanto lo desidero Sara, per me è davvero importante. E scusami, scusami se insisto.” Sandro, riavvicinò a sé il corpo di Sara che nel frattempo si era irrigidito e istintivamente inarcato all’indietro. Cercò le sue labbra e le baciò con passione. Carezzò ovunque quel corpicino esile e scolpito, perfetto e grazioso e presto si ritrovò sopra di lei. La possedette con entusiasmo e foga, accettando persino che quella oscura penombra potesse invadere tutta la stanza mentre fuori, alcuni raggi dorati di un bel sole probabilmente già alto, tentavano invano di oltrepassare le fessure delle persiane chiuse. Non riuscendo a penetrare nella stanza, si ripiegarono giù, nella piccola stradina pressoché deserta che proseguiva stringendosi e in risalita, serpeggiando tra erba bassa e ceppi di muschi per poi scomparire virando dietro una brulla collina.
Sospiri e gemiti trattenuti continuavano a risuonare discreti nella camera mentre tutta la valle, di tanto in tanto, sussultava per i passaggi roboanti e stridenti di un qualche treno in corsa.

AMNESIA: MILANO, CARA MILANO.

Percepiva gli occhi pungerle tramite fitte leggere come se ci fossero stati dei granelli di sabbia fine incastrati al di sotto delle palpebre. Forse una probabile mancanza di sonno cominciava a impadronirsi del suo corpo e sentì rimontarle un potente attacco di panico. Il cuore le batteva in petto all’impazzata, i polmoni risultavano incapaci di riempirsi profondamente causandole respiri faticosi, corti e troppo ravvicinati tra loro. La relativa mancanza di ossigeno le regalava dei ripetuti giramenti di testa che la obbligavano ad arrestarsi di tanto in tanto per appoggiarsi a qualsiasi sostegno casuale e del tutto improvvisato, nella speranza di riuscire a inspirare più aria. Era sfinita ma doveva resistere. Cinque minuti ancora, solo cinque minuti di cammino e avrebbe finalmente raggiunto l’abitazione di nonna Giulia. Lei soltanto avrebbe saputo consolarla e tranquillizzarla.
Alice sapeva benissimo che, data l’età, sarebbe stato meglio evitare di destare in lei ulteriori preoccupazioni, tuttavia era certa che nonna Giulia l’avrebbe aiutata, anche stavolta, esattamente come sempre.
Alice si sedette per un po’ su una panca di legno malmessa, sotto una pensilina. Qualcuno ne aveva imbrattato la tettoia trasparente con dello spray colorato. Si leggevano dei nomi e alcune scritte in inglese.
Osservò l’ambiente familiare. Un tram scivolava silenzioso e abbastanza lento, le larghe strade grigie antracite brulicavano di persone agitate che, come piccole formiche colorate si affrettavano in tutte le direzioni, per bisogno, abitudine o necessità. Milano le piaceva per questo. Sempre all’eccesso, attiva e precisa, anche artificiale, vicina da vivere ma nel contempo distante, surreale. Ma al contrario di molti non riusciva a reputarla una città “fredda”, piuttosto un luogo libero, privo di impicci e scevro da giudizi e in cui, volendo, sarebbe stato possibile diventare invisibile.
Deglutì più volte, riuscì finalmente a inspirare a fondo. Una nuvola di condensa si generò dalla sua bocca e presto fu seguita da un’altra. Anche l’aria della sua città quella sera pareva più frizzante rispetto al solito.
Rammentò ciò che provò quando, per la prima volta, si trovò a passeggiare in quelle stesse vie adiacenti al centro. Tutto quel lusso le apparì così ostentato e esagerato e in grado di poter convincere chiunque di essere almeno un po’ ricco, esteriormente o spiritualmente, a seconda dello stato d’animo. E pensò che già durante le prime settimane di permanenza in quella città era possibile percepirsene come assorbito, risultarne plasmato per divenirne parte quasi integrante del contesto, finendo per modularsi esattamente come gli altri a ripetere gesti e percorsi degli altri, con pensieri identici agli altri, come in un unico e grande macrocosmo che conservava la capacità di azzerare ogni singola individualità.
Milano era unica.
E Alice in quel momento si rassicurò: nessuno le avrebbe mai chiesto il motivo per cui non fosse salita su un bus che le si era appena fermato davanti, nessuno avrebbe notato la sua ansia e nemmeno tutto quel malessere che da sempre la attanagliava dentro.
E intorno solo infiniti movimenti e riflessi di passanti nelle vetrine talmente lucide da sembrare inesistenti, le merci esibite così perfette, i bambini per mano, i cani al guinzaglio. Gente al telefono, La fontana zampillante, luci in aria e sull’asfalto, sguardi agli orologi, rumori di tacchi, rari brusii e fruscii di un qualunque sacchetto.
I polmoni ricominciarono a immagazzinare la necessaria quantità di aria, il cuore le tornò a battere regolare. Il male oscuro se n’era andato ma Alice sapeva bene che sarebbe tornato presto, molto presto e può darsi ancora peggiore. Si rialzò riprendendo un po’ traballante il suo cammino. Giunse dinanzi ad un portone in legno appartenente ad un edificio ristrutturato. Le sfuggì un lungo sospiro. Da quella posizione, durante il giorno e osservando a est sarebbe risultato possibile scorgere alcune guglie del Duomo esibire nel punto più alto una piccola e graziosa madonnina, lucida e dorata.

Alice si lasciò cedere totalmente di peso sulla pulsantiera del citofono provando un enorme sollievo nel poter pigiare quel bottoncino di metallo.
Il portone si aprì subito con un ronzio lungo e improvviso. Nell’ atrio respirò profondamente quell’odore acre e particolare che ormai caratterizzava ogni indumento e ogni oggetto della nonna e che avrebbe saputo riconoscere ovunque, anche all’altro capo del mondo.
L’ascensore giunse senza attese al piano terra, schiudendo con un sibilo soffocato i suoi portelli e restituendole, tramite uno specchio posto al suo interno, l’immagine di una pallida e magrissima giovane donna dall’aspetto trascurato, che faticava nel sorreggere una comune valigetta di cuoio.

Autore: Nadia Fagiolo

Adoro leggere, scrivere, vendere i libri. Sono libraia da sempre. Prendo spunto da personaggi o fatti del quotidiano e sento l'esigenza di amplificarli e tradurli in racconti o poesie. Mi diverte, è uno sfogo e una passione.

26 pensieri riguardo “AMNESIA 5.”

    1. Questo capitoletto mi ha fatto dannare particolarmente ma sono contenta che tu l’abbia apprezzato. Sono indecisa tutt’ora sulla prima parte del dialogo ma… pazienza, si rifarà, un giorno… Le parti da te evidenziate sono quelle sulle quali non conservo dubbi infatti. Grazie mille. Ciao.

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    1. …mmmm mi sa che hai ragione ad inquietarti… qui gatta ci cova.
      ( E se ci cova la gatta… la galluna che fa?) Pensa che accanto al mio giardino c’è un gallo matto. Non riconosce l’alba e canta ogni ora e mezza. Forse beve vodka e cova le uova. Chissà… 😊😊😊
      Poi la gatta che miagola sul tetto lo osserva e prova a cantare come lui. Quindi, in pratica, qui c’è un gatto che crede di essere un gallo e un gallo che pensa di essere una gallina.
      Mica da tutti né!

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  1. Adesso è il quadro generale della narrazione più chiaro e delineato: operi una abile commistione fra letteratura sposata alla medicina, thriller psicologico e noir, una miscela la tua che non può non attirare l’attenzione. E però ancora mi chiedo dove voglia andare tu a parare.
    Molto ben descritte le scene, sia quella di Sandrino e della sua amante, sia quella di Alice che ritrova (che torna) dalla nonna confidando in un aiuto che la inquadri almeno un po’.
    Oramai possiamo parlare di romanzo breve (o di racconto lungo che dir si voglia).
    Ottimo come sai rendere le emozioni dei personaggi, emozioni che sempre si sposano ai paesaggi che incontrano davanti ai loro occhi. E’ questa una caratteristica della tua scrittura: personaggi e ambienti non sono mai discinti ma si compenetrano.
    Chapeau.

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    1. Ciao Beppe. Sì, questa caratteristica che evidenzi è proprio la mia particolarità. Personalmente sono abbastanza metereopatica, inoltre credo nelle energie, nello sciamanesimo e nel terzo occhio. Capto molto le sensazioni, sono fatta così e adoro condividere attraverso i racconti questo mio modo di essere.
      Dove andrò a parare? Chi vivrà, (e leggerà) vedrà.
      Maledette virgole, accidenti. Al fine settimana mi sciropperò un corso intensivo di riparazione punteggiatura.
      Un caro saluto!

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