GIORNO TRE. UN AMICO TIENE SEMPRE UN SORRISO IN TASCA.
Ambra aveva ragione. La farfalla, a modo suo, sapeva essere davvero di compagnia. E forse, proprio per questo, Giovanni non era ancora riuscito a sbarazzarsene. Più volte si era ripromesso di lasciarla volare via, ma non appena la farfalla si avvicinava un po’ alla finestra aperta, all’improvviso, con un balzo lui si accingeva a richiuderla. Infine aveva deciso di trattenerla ancora un po’, l’avrebbe liberata poi, durante la notte.
Nella nuova casa, alla lunga, era perfino riuscito ad abituarsi alla solitudine: il sentimento sincero che aveva provato per sua moglie, ancora, a distanza di quasi un decennio, poteva colmare ogni momento di vuoto e dare un senso al peggior silenzio. Si trattava solo di una questione di tempo, perciò attendeva sereno e senza ansia che arrivasse il suo momento, approfittando a rivivere, uno per uno, tutti i migliori istanti trascorsi nella sua vita.
Aveva imparato a evocare i ricordi nella stessa maniera in cui è possibile scegliere dove andare, o cosa fare: la vacanza a Genova piuttosto della crociera in Egitto, la serata di festa in occasione dei quarant’anni o la gara di ballo, le partite a Burraco oppure la gita sul Cervino: erano davvero innumerevoli, tanto da poter proseguire in questa pratica per ore e giorni interi. Giovanni aveva trovato il modo di lasciare il mondo reale cimentandosi in un vivido viaggio nel passato, e si immedesimava a tal punto che, in quegli attimi, poteva percepirsi ancora giovane, forte, e, soprattutto, sentirsi di nuovo felice accanto a sua moglie, Anna, l’indiscussa protagonista di ogni ricordo.
Giovanni, seduto al tavolo, era intento a sfogliare una rivista scientifica. Una vocina acuta irruppe con fragore nel locale.
“Ciao, oggi va meglio?”
“Sì, grazie. Il dottore, ieri, mi ha prescritto degli antidolorifici e mi ha consigliato di effettuare alcuni esami. Sai, ogni età è adatta per apprendere qualcosa, così, adesso, mi tocca di imparare anche a invecchiare. In un certo senso, è un po’ come utilizzare una lussuosa auto d’epoca, ma occorre ricordarsi che una carcassa del genere mica se la possono permettere tutti!”
Ambra tuonò: “ A quanto ne so, la tua carcassa la sai usare molto bene, come del resto anche la tua lingua!” E aggiunse: “Più tardi andrò al supermercato con la mamma. Sono passata per chiederti se ti occorre qualcosa.”
“Ti ringrazio. Ammesso di non recarvi troppo disturbo… Ecco, potresti magari comperarmi un po’ di pane? Sai, stamattina non me la sono sentito di uscire.”
“Lo sospettavo. Consideralo fatto, con piacere!”
Proprio in quel momento, la farfalla varcò la soglia del soggiorno. Dopo aver compiuto diverse evoluzioni, sfiorò la guancia di Ambra, e poi planò zigzagando, adagiandosi leggera sul bracciolo del divano.
Sorrisero entrambi, poi, d’istinto, Giovanni mutò subito espressione. Accigliandosi dichiarò: “Ambra, dovremmo lasciarla andare.”
“No, neanche per idea! Te l’ho già detto, lei è felice qui.”
“E da cosa lo deduci?”
“Ne sono convinta, e basta! Quando io mi sento triste, non ho voglia di far niente. Mi chiudo nella mia cameretta, mi stendo sul letto e chiudo gli occhi. Lei, invece, svolazza per casa tutto il giorno, quindi è contenta. Ti chiedo il favore di non contraddirmi, perché, oggi, sono arrabbiata.”
“Cosa ti è successo?”
“Ecco, credo di non essere brava a disegnare.”
“Perché pensi questo?”
“Simona, una mia compagna di classe, stamattina mi ha preso in giro. Ha riso del lavoro che ho svolto nell’ora di arte, ha gridato in aula che era uno schifo. Ha detto proprio così!”
“Non avresti dovuto darle retta. Guarda la nostra farfalla, credi che lei possa riuscire a realizzare un disegno migliore del tuo?”
Ambra, un po’ sconcertata e riflettendo sulla risposta, si limitò a osservare con gli occhi spalancati il piccolo insetto. La domanda di Giovanni pareva proprio assurda.
“Ti rispondo io: certo che no! E come potrebbe? Non ha nemmeno le mani! Tuttavia possiede due ali misteriose e magiche. E tu l’hai potuta osservare, più di una volta; volando, lei riesce a colorare gran parte dell’aria che attraversa con scie luminose, proprio come è successo poco fa.”
Ambra sorrise: “Credo di aver capito cosa intendi. Grazie per la tua grande saggezza. Ora scusami, devo proprio andare. Ritornerò più tardi, ti porterò il pane.”
Giovanni, già da tempo un po’ zoppicante, si augurò che le gambe lo sorreggessero fino a sera. Si percepiva debole, ancora indolenzito. Si sarebbe presto sottoposto agli accertamenti medici richiesti.
La farfalla zampettava ancora sul divano, ma non era il suo posto. Giovanni non avrebbe mai sopportato, un giorno, di doverla osservare in agonia o, peggio, addirittura morta. Ciò non sarebbe mai dovuto accadere dentro casa sua, non nella stessa maniera di sua moglie.
E questa volta, avrebbe di sicuro spalancato la finestra, per tutta la notte. Poi avrebbe pensato a come affrontare Ambra, ben sicuro che non sarebbe stato facile spiegarle quel gesto. Prima o poi, le avrebbe parlato anche del resto: era giunto il momento. Ma pian piano, una cosa per volta.
La maniglia dell’ingresso cigolò per l’ennesima volta. Giovanni aveva abbandonato la rivista sul tavolino di vetro ed era rimasto disteso sul divano per tutto il tempo: era intento a compiere l’ennesimo viaggio nel suo passato.
“Ecco! La busta con il pane la appoggio qui, sul tavolo. Scusami, ritorno subito a casa, mamma sta cucinando le lasagne, la devo aiutare, e ho una fame da lupi! Ciao, riguardatevi tutti e due.”
“Grazie, aspetta! Permettimi di ripagartelo almeno. Prendi i soldi: sono proprio lì, sulla credenza.”
“No, non preoccuparti, possiedo parecchi risparmi. A domani, amico.”
“Ti ho detto di prenderli!”, la sgridò, ma dovette presto desistere perché la piccola se ne andò di corsa, e poco ci mancò che sbattesse la porta.
“A domani, tremenda che non sei altro!”
Giovanni era certo di riuscire a cavarsela ancora piuttosto bene ai fornelli. Il profumo del pane lo aveva raggiunto stuzzicandogli l’appetito.
La porta d’entrata, come sempre, era rimasta aperta. Tutte le finestre, invece, erano rimaste chiuse.
Giovanni cenò in buona compagnia e col fiato sospeso osservando la farfalla, che aveva deciso di effettuare i suoi volteggi e le sue più spericolate evoluzioni in cucina, anzi, proprio sopra il tavolo.
Quella sera, dopo aver rassettato il locale, Giovanni si concesse anche un goccio di rum. Lo conservava da una decina d’anni, giorno più, giorno meno. Il liquore giallognolo appariva stantio e, nella bottiglia, ne rimaneva più della metà.
La farfalla si adagiò proprio accanto al bicchiere. Allargava e richiudeva delicata le sue ali, pareva osservarlo con i suoi occhi neri e tondi, come se volesse comunicargli qualcosa.
Aveva cominciato a piovere abbastanza forte, dunque conveniva rimandare. Non era il giorno adatto per lasciar fuggire quella fragile creatura. Giovanni si rialzò dal tavolo. Trascinando i piedi avvolti da ciabatte di feltro marroni e ormai consunte, si diresse piano nella sua stanza. Indossò il solito pigiama rigato, si tolse la dentiera, spense la luce. Si addormentò con un sorriso fisso dipinto sul volto.
Quella notte sognò di essere diventato una farfalla. Era buio, l’aria era piacevole, tiepida. Dopo essersi posato su tutti i fiori più belli del prato, si librò in volo puntando in alto, sempre più in alto, fino a dissolversi senza timore nel cielo infinito e zeppo di stelle.